Le distrofie muscolari

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Le distrofie muscolari sono caratterizzate dall’assenza, carenza o alterazione di una proteina chiamata distrofina. Queste condizioni, definite in generale distrofinopatie, portano a degenerazione del tessuto muscolare e quindi alla progressiva perdita di forza e riduzione delle abilità motorie. Oggi esistono due varianti della distrofia muscolare , quella di Duchenne (Dmd) e di Becker (Bmd). Proprio di questo si parlerà il prossimo 2 dicembre a Milano. Nella Dmd la distrofina è del tutto assente e i primi sintomi si manifestano, generalmente, tra i 2 e i 6 anni. I bambini affetti spesso imparano a camminare in ritardo, mostrano un’andatura particolare (anserina), tendono a camminare sulle punte, hanno difficoltà a rialzarsi da terra, a saltare, a fare le scale. Tipicamente è presente un ingrossamento (ipertrofia) dei polpacci. La malattia progredisce causando grave scoliosi, perdita della deambulazione entro i 12 anni, quindi perdita della funzione degli arti superiori. Anche i muscoli respiratori e il cuore sono coinvolti e sono proprio le complicanze cardiache e respiratorie a ridurre l’aspettativa di vita di questi pazienti. In alcuni casi ci può essere un deficit cognitivo, di entità molto variabile.

Nella Dmb, la distrofina è ridotta o alterata, ma mai assente. A livello motorio, le manifestazioni di questa forma ricalcano quelle della Dmd, ma in forma più lieve e con esordio più tardivo. Le complicazioni cardiache costituiscono il problema principale: se vengono riconosciute e curate in tempo, l’aspettativa di vita di questi pazienti può essere del tutto normale.

Sia per la Dmd sia per la Dmb la diagnosi si basa innanzitutto sull’osservazione clinica ed esami di laboratorio mettono in evidenza il danno muscolare. In particolare un valore importante è quello della creatinchinasi, un enzima che viene rilasciato nel circolo ematico quando esiste un danno muscolare. La diagnosi viene poi confermata attraverso la biopsia muscolare (per verificare la quantità di distrofina presente nel muscolo) e l’analisi molecolare del gene della distrofina. In situazione a rischio (donna portatrice sana di distrofinopatia) si può effettuare la diagnosi prenatale mediante villocentesi o amniocentesi.

Al momento non esiste una terapia risolutiva per la malattia. La qualità di vita dei pazienti può notevolmente migliorare con trattamenti sintomatici e pluridisciplinari (fisioterapia, valutazione della funzionalità cardiaca e respiratoria ecc.) che gestiscano i vasi aspetti della malattia: motorio, respiratorio e cardiaco. La somministrazione di steroidi può aiutare a stabilizzare le abilità motorie. Attualmente sono in corso di sperimentazione diversi approcci terapeutici, tra cui la terapia cellulare e la terapia molecolare con exon-skipping, oltre a diversi trattamenti farmacologici.

Entrambe le forme sono causate da alterazioni del gene codificante per la distrofina, localizzato sul cromosoma X: a seconda del tipo di alterazione si potrà avere la forma di Duchenne o di Becker. La malattia si trasmette con modalità legata all’X: in genere solo i maschi (che hanno un solo cromosoma X) presentano i sintomi, mentre le femmine, a parte alcune eccezioni, risultano essere delle portatrici sane (perché possiedono un altro cromosoma X oltre a quello mutato, che può quindi compensarne le funzioni). Si stima che circa due volte su tre la mamma di un bambino con distrofinopatia viene confermata portatrice sana. In circa un terzo dei casi le madri risultano invece non portatrici; la malattia, in questo caso, è dovuta a una nuova mutazione del gene per la distrofina.

[Fonte http://www.clicmedicina.it/le-distrofie-muscolari/]