Perché viene e come si cura il Parkinson I primi sintomi cui prestare attenzione

La malattia di Parkinson è un disturbo del sistema nervoso centrale e autonomo, con un’evoluzione lenta, ma progressiva. Comporta la degenerazione (e poi la morte) in prevalenza di alcune cellule nervose (neuroni), situate nella Sostanza nera (un’area del cervello), con conseguenze soprattutto sul controllo dei movimenti e dell’equilibrio.

La Sostanza nera è una formazione nervosa, situata in profondità nel cervello. I neuroni che la compongono producono un particolare neurotrasmettitore, la dopamina, che trasmette messaggi ai neuroni in altre zone del cervello ed è indispensabile per il controllo dei movimenti automatici di tutto il corpo.

La malattia di Parkinson si manifesta quando il numero di neuroni che produce dopamina si riduce di oltre il 50 per cento. In chi ne soffre, oltre a una riduzione dei livelli di dopamina, si osserva l’accumulo, dal midollo al cervello, di una proteina chiamata alfa-sinucleina, che l’organismo non riesce più a smaltire.

La malattia di Parkinson comporta anche disturbi non motori, alcuni dei quali possono insorgere molti anni prima dei sintomi motori. I più tipici sono:
– stitichezza
– problemi di deglutizione (disfagia)
– disturbi urinari, con aumento delle minzioni
– alterazione della pressione sanguigna, con valori alti in posizione sdraiata e molto bassi quando si sta in piedi (sintomo tardivo)
– riduzione dell’olfatto (che esordisce anche molti anni prima delle manifestazioni motorie)
– disturbi del sonno
– ansia e depressione.

Nella maggioranza dei casi, i primi sintomi compaiono intorno ai 60 anni e sono:
– tremore a riposo (presente in circa il 50% dei casi)
– rigidità muscolare
– lentezza e povertà di movimenti (bradicinesia).

Nel 90% dei casi all’esordio questi disturbi riguardano solo un lato del corpo. Dal quinto anno di malattia in poi possono insorgere sintomi tardivi, tra i quali:
– andatura strisciante
– postura curva
– disturbi dell’equilibrio, con maggiore facilità alla caduta
– fluttuazioni motorie e movimenti involontari (per una risposta non più ottimale alla terapia).

In prima battuta, la diagnosi si basa sulla storia medica del paziente e sull’esame neurologico. Il passo successivo prevede l’esecuzione di alcune indagini tra cui la scintigrafia cerebrale, che in mani esperte ha una precisione altissima, e la risonanza magnetica cerebrale 1,5 tesla, utile per distinguere tra malattia di Parkinson e altri parkinsonismi.

Per ora non esistono cure in grado di sconfiggere la malattia, ma strumenti per rallentarne l’evoluzione e migliorare i sintomi. Il principale farmaco è la levodopa, un precursore della dopamina, che sopperisce alla carenza di questo neurotrasmettitore. Si inizia con dosaggi bassi, che si aumentano nel tempo. La levodopa viene somministrata in combinazione a farmaci dopaminoagonisti, che vanno a stimolare direttamente i recettori dopaminergici nel cervello. Con il passare del tempo, la levodopa può essere associata agli inibitori enzimatici della degradazione della levodopa, che servono per aumentarne la permanenza nel sangue, e quindi l’efficacia nel tempo, quando appaiono le prime fluttuazioni motorie. Quando la malattia è in fase avanzata è più difficile controllarla e occorre un approccio su più fronti (dietoterapia, fisioterapia e riabilitazione, eventuale psicoterapia, ecc.) per gestire i sintomi tardivi e le problematiche non motorie (possibili disturbi cognitivi, alterazioni della pressione, ecc.).

La terapia farmacologica non è più sufficiente, di solito dopo 15 anni dall’esordio della malattia, si può considerare il ricorso alla stimolazione cerebrale profonda, una sorta di pacemaker che emette piccole quantità di energia elettrica in un’area precisa del cervello, modulando l’attività dei neuroni coinvolti nel movimento. (corriere.it)