Ictus: la scienza punta a perfezionare la riabilitazione, anche con la robotica

Più dei decessi, all’incirca trentamila ogni anno, quando si parla di ictus cerebrale a fare notizia oggi è per lo più il numero dei sopravvissuti. Considerando che l’incidenza della malattia cerebrovascolare restituisce al nostro Paese all’incirca duecentomila nuovi casi nell’arco di dodici mesi, si deduce che quasi otto pazienti su dieci sopravvivono all’evento. Ma di queste persone, almeno cinquantamila perdono l’autonomia e si candidano di conseguenza a dover ricevere trattamenti riabilitativi che, nei casi più gravi, contribuiscono a salvare la vita del malcapitato. Ecco perché, in occasione della giornata mondiale, l’attenzione è puntata sui sopravviventi: almeno un milione, lungo l’intera Penisola.

Soltanto sei regioni in regola coi percorsi di riabilitazione

Il servizio sanitario, a fronte di un miglioramento degli stili di vita e della qualità delle cure ), non è ancora attrezzato per la gestione nel medio e lungo termine di questi pazienti.

Secondo uno studio realizzato dall’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale, infatti, soltanto sei Regioni presentano percorsi aggiornati e attivi per la riabilitazione dei pazienti colpiti da un ictus: la terza causa di morte nella società occidentale, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori. Si tratta della Valle d’Aosta, del Veneto, del Friuli-Venezia Giulia, della Liguria, dell’Emilia-Romagna e delle Marche. Nelle restanti, la documentazione che regola questo ambito di cure non è aggiornata, non risulta operativa o nemmeno pervenuta.

Un dato che, per usare le parole di Domenico Inzitari, direttore della stroke unit e neurologia dell’azienda ospedaliera Careggi di Firenze, «dimostra che nel nostro Paese non sempre la riabilitazione viene avviata tempestivamente e troppo spesso non viene portata avanti con la sistematicità, la continuità e la durata necessarie». Aggiunge Antonino Salvia, direttore sanitario della Fondazione Santa Lucia di Roma: «Senza una risposta adeguata a questi bisogni di riabilitazione, i costi sociali dell’ictus finiscono per trasferirsi dall’obiettivo di restituire autonomia alla persona alla gestione della sua invalidità permanente».

Come reagire alla disabilità? 

Quali sono le principali necessità dei pazienti dopo un ictus? Le funzioni del cervello che possono essere colpite da ictus e richiedere percorsi di neuroriabilitazione sono: equilibrio e coordinazione muscolare, movimenti volontari e abilità motorie, movimenti volontari dell’occhio, capacità sensitive (incluse vista e udito), produzione e comprensione del linguaggio, memoria, autocontrollo e gestione delle emozioni.

Vista l’eterogeneità delle possibili ricadute, quasi sempre è richiesto un approccio multidisciplinare. La riabilitazione è finora stata condotta in strutture specializzate, con ricoveri della durata anche di diversi mesi. Negli ultimi anni s’è però andato affermando un continuo e crescente interesse per sistemi robotici.

La telemedicina viene dunque in aiuto per mantenere e migliorare le prestazioni del paziente a casa dopo la dimissione del trattamento riabilitativo. «Il paziente non si sente in tal modo abbandonato ed è motivato a mantenere, con la propria attività, i risultati del training riabilitativo appena terminato – afferma Donatella Bonaiuti, direttore del reparto di neuroriabilitazione dell’ospedale San Gerardo di Monza -. Questo è possibile con l’ausilio di sensori che vengono indossati e registrano l’attività quotidiana, monitorata dal paziente e, a distanza, dallo specialista senza ulteriori disagi, e con la precisione delle tecnologie wireless e l’utilizzo di terminali e device economici di ultima generazione».

Se il robot arriva al letto del paziente

«Icone», il robot messo a punto da Ican Robotics, spin-off dell’Università del Campus-Biomedico di Roma, è l’unico a essere abilitato per l’uso domestico. Ciò vuol dire che il paziente può effettuare la riabilitazione anche tra le mura del proprio appartamento, andando così oltre gli eventuali problemi di mobilità che potrebbero rendere più difficilmente il suo spostamento. O, se in un centro di fisioterapia, ne possono essere installati più di uno per stanza: in modo che uno stesso terapista possa seguire più pazienti (il robot non può essere utilizzato in assenza di un professionista sanitario).

Gli esperti ritengono che i risultati più significativi di questo tipo di riabilitazione si ottengano in chi ha un potenziale di recupero, soprattutto nel medio e lungo termine: quando cioè il cervello può ancora progredire, se stimolato in maniera continua e diversificata. «I pazienti che possono utilizzare i sistemi robotici per la riabilitazione sono potenzialmente tutti quelli affetti da malattie neurologiche che causano disordini del movimento, dell’equilibrio e della postura – spiega Stefano Mazzoleni, ricercatore presso l’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa -. In Italia ci sono vari ospedali e centri clinici che utilizzano tecnologie robotiche per la riabilitazione post-ictus e si trovano sull’intero territorio nazionale. Il suggerimento è di rivolgersi al proprio medico di famiglia e poi mettersi in contatto con un fisiatra presso l’azienda sanitaria locale. Tutti i sistemi robotici utilizzati nelle sperimentazioni cliniche sono sicuri, perché devono aver ottenuto preventivamente la certificazione CE che dichiara che il prodotto è conforme ai requisiti di sicurezza previsti dalle direttive e dai regolamenti dell’Unione Europea».  (di Fabio Di Todaro per Lastampa.it)