Terapia del dolore, una tecnica snobbata in Italia

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Un cittadino europeo su cinque è afflitto da dolore cronico, ossia quasi 80 milioni di persone.
Solo il dolore muscolo-scheletrico causa il 50% di tutte le assenze dal lavoro in Europa e il 60% dell’inabilità.
Il totale dei suoi costi diretti e indiretti è stato stimato in 240 miliardi di euro ogni anno, quasi il 2% del Prodotto interno lordo (Pil) europeo.
Sia esso acuto, cronico o da procedura, il dolore rappresenta una tra le manifestazioni più importanti di un disturbo o di una malattia e tende a minare la qualità di vita.
Lo dice anche un’indagine dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): su 5.447 soggetti ospitati da 15 centri di tutto il mondo, il dolore persistente nell’ambito delle cure primarie risulta avere una prevalenza del 20%.
La Iasp, l’International association for the study of pain, nel 1986 ha definito il dolore come «un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno».
Il dolore è acuto quando ha la funzione di avvisare l’individuo della lesione tissutale in corso ed è normalmente localizzato, dura per alcuni giorni, tende a diminuire con la guarigione.
COLPITO 1 ITALIANO SU 4. Il dolore cronico è duraturo e colpisce un italiano su quattro. È rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche).
Il dolore da procedura, invece, accompagna molte indagini diagnostiche/terapeutiche e rappresenta un evento temuto e stressante.
La sua presenza condiziona in maniera importante la qualità percepita di cura.
Vittorio Guardamagna, direttore dell’unità di terapia del dolore e cure palliative dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, spiega: «Il dolore cronico è fonte di un deterioramento globale della persona, a livello fisico e psichico; nei casi più gravi, può arrivare anche a compromettere la riuscita delle terapie in corso. Nei pazienti con tumore, per esempio, una condizione di sofferenza protratta e non controllata costringe a volte l’oncologo a interrompere la chemioterapia o il radioterapista a rinviare la seduta».
TROPPI ANTINFIAMMATORI. Il problema è che «ancora troppo spesso si ricorre a terapie poco appropriate. Nonostante diversi warning di Aifa ed Ema, è tuttora diffuso l’impiego prolungato di antinfiammatori non steroidei (Fans), che non andrebbero somministrati oltre le tre settimane, per la loro tossicità a livello gastrico, epatico, renale e cardiovascolare.
Al contrario, numerose linee guida indicano gli oppioidi forti come riferimento per la cura del dolore cronico moderato-severo e consigliano di iniziare il trattamento con bassi dosaggi di questi farmaci».
Gli fa eco Marco Filippini, general manager di Mundipharma Italia: «L’impiego di farmaci oppioidi nel nostro Paese è tra i più bassi in Occidente. I dati da poco pubblicati su Lancet confermano questa marcata disparità: l’Italia supera di poco le 3.900 dosi definite giornaliere (Ddd) per milione di abitanti, contro le oltre 23.300 in Germania, 20 mila in Austria, 9 mila in Spagna, 6 mila in Francia e oltre 43.800 negli Usa».

Nel 60% dei casi la sofferenza fisica non è misurata con costanza

Come vengono curati oggi gli italiani afflitti da una sofferenza cronica?
L’indagine “Pain in Italy”, promossa da Movimento consumatori, in collaborazione con il centro studi Mundipharma e presentata recentemente a Milano, ha rilevato che, in quasi il 60% dei casi, la sintomatologia dolorosa non viene misurata in maniera costante durante ogni visita, contravvenendo così a quanto stabilisce la Legge 38/2010.
Il 33% del campione che lamenta una qualche forma di sofferenza fisica non riceve alcun tipo di trattamento, mentre a coloro che sono sottoposti a un regime terapeutico vengono spesso somministrate cure inappropriate.
Anche quando il dolore cronico aumenta di intensità, infatti, in oltre il 51% dei casi si continua a ricorrere agli antinfiammatori non steroidei.
Al contrario, gli oppioidi forti sono utilizzati, rispettivamente, soltanto nel 6,6% e nel 21% dei casi.
C’È UNA LEGGE DEL 2010. Come detto, nel 2010 è stata emanata la Legge n. 38 concernente “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”.
La legge, tra le prime in Europa e modello per molte altre realtà, tutela all’art. 1 “il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore”, e individua tre reti di assistenza dedicate alle cure palliative, alla terapia del dolore e al paziente pediatrico”.
Gli aspetti più rilevanti del testo legislativo riguardano la rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica, la nascita di reti nazionali per le cure palliative e per la terapia del dolore, la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore, la formazione del personale medico e sanitario.
NON SEMPLICI ‘VISITE MEDICHE’. «L’intensità del dolore, ma anche l’efficacia del suo trattamento, sono registrati in cartella clinica e nella scheda di dimissione ospedaliera. Sono state definite tariffe precise per le cure antalgiche a partire dai livelli medi di rimborso rilevati in tutte le Regioni. La prima visita di terapia del dolore ha ricevuto una categorizzazione specifica, e non è più definita come semplice ‘visita medica’. È stata semplificata la prescrizioni di farmaci antalgici, oppioidi inclusi».
È il bilancio stilato dall’estensore della normativa, Guido Fanelli, direttore della struttura complessa Anestesia, rianimazione e terapia antalgica dell’Azienda ospedaliero universitaria di Parma e direttore scientifico della Fondazione Ant.

Pinhub prova a superare le differenze regionali

Sul fronte della formazione del personale sanitario «sono attivi, a oggi, quattro Master dedicati, in altrettante università italiane, e a migliaia di medici di famiglia è stato offerto un aggiornamento che consente loro di assicurare ai pazienti, a domicilio, tutte le terapie antalgiche di cui hanno bisogno, comprese le cure palliative. E si sta progressivamente strutturando, in hub e spoke, quella rete destinata a rendere più accessibili le cure antalgiche a tutti i pazienti italiani», dice Fanelli.
Tra le esperienze italiane più significative, Pinhub (Pain interregional network hub) che riunisce centri da tutta Italia con lo scopo di superare le differenze regionali nella cura del cittadino con dolore, e l’Osservatorio sul dolore acuto promosso dalla Società italiana di medicina generale e delle cure primarie, la Simg, e dalla Società italiana di medicina di emergenza urgenza, la Simeu, con il contributo non condizionato di Ibsa Farmaceutici.
CRESCITA CULTURALE. L’osservatorio ha come obiettivo la raccolta dati e la diffusione delle conoscenze sul problema dolore, per favorire la crescita culturale e la sensibilità dei professionisti della salute sul tema e per avvicinare le risposte integrate territorio-ospedale ai bisogni dei pazienti
Le ultime indicazioni in materia arrivano dal simposio Societal impact of pain 2016 (Sip), al termine del quale sono state formalizzate alcune raccomandazioni di prossima pubblicazione, rivolte all’Unione e ai governi nazionali, destinate a cambiare radicalmente la cura del dolore e il suo impatto sulla società.
RICERCA DA INCREMENTARE. Tra queste, dare applicazione all’articolo 8.5 della Direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera, che impone la misurazione del grado di dolore del paziente; inserire la gestione del dolore cronico all’interno delle politiche dell’Ue sulle malattie croniche; assicurare che la cura del dolore sia parte integrante delle politiche e delle strategie sull’assistenza oncologica; incrementare gli investimenti nella ricerca scientifica sul dolore; dare priorità alle conoscenze sul dolore nella formazione dei professionisti sanitari, ma anche nell’informazione ai pazienti e alla popolazione.

[Fonte http://www.lettera43.it/fatti/terapia-del-dolore-una-tecnica-snobbata-in-italia_43675250220.htm]