Le malattie reumatiche «prediligono» le donne

(di Maria Giovanna Faiella) – Un italiano su tre le associa al comune mal di schiena, a quei classici dolori dovuti al cambio di stagione, al freddo e all’umidità. Le malattie reumatiche, però, non colpiscono solo ossa e articolazioni; possono interessare anche organi interni e insorgere in giovane età. E “prediligono” le donne, spesso in età fertile. In particolare, una forte disparità di genere si osserva per alcune malattie autoimmuni. «Per esempio, Lupus Eritematoso Sistemico (LES), tiroiditi, Sindrome di Sjogren presentano una frequenza 7-10 volte più elevata nelle donne rispetto agli uomini» riferisce Elena Ortona del “Centro di riferimento sulla medicina di genere” istituito di recente dall’Istituto Superiore di Sanità. «Le differenze tra i due universi, maschile e femminile, possono variare anche rispetto alla stessa patologia e in base all’età – aggiunge Mauro Galeazzi, presidente della Sir, la Società italiana di reumatologia -. Per esempio, per l’artrite reumatoide il rapporto donna uomo è pari a 3 a 1 intorno ai 50 anni, di 2 a 1 dai 55 ai 65 anni e si capovolge col passare degli anni, diventando di 1 a 3 per gli over 75. Ci sono, poi, alcune tipologie specifiche, come morbo di Paget e spondilite anchilosante, che hanno invece una maggiore prevalenza maschile».

Manifestazioni diverse

«Ci sono malattie reumatiche, in particolare quelle autoimmuni, che si manifestano in modo diverso nei due sessi rispetto ai sintomi, al decorso, alla risposta alle terapie – spiega la coordinatrice del gruppo “Medicina di genere” della Sir, Angela Tincani – . Finora, la maggior parte dei trial clinici sono stati condotti su una popolazione prevalentemente maschile, ma non è detto che i farmaci funzionino allo stesso modo in uomini e donne. Quest’ultime, per esempio, hanno un peso corporeo inferiore, abitudini di vita ed esigenze diverse». È storia recente il tema delle “differenze di genere” anche nella sperimentazione farmacologica e nella ricerca scientifica. Negli ultimi tempi, l’Agenzia italiana del farmaco ha deciso di finanziare progetti di ricerca specifici, che indaghino le differenti risposte alla terapia tra uomini e donne.

Lo studio

Istituto Superiore di Sanità e Società italiana di reumatologia stanno lavorando su un progetto multicentrico specificamente dedicato all’effetto dei farmaci in relazione alle differenze di genere nella terapia delle malattie reumatiche. «Nell’era dei nuovi farmaci biologici per le malattie autoimmuni, per esempio, sembra che alcuni medicinali – specialmente per l’artrite reumatoide – abbiano un’efficacia maggiore negli uomini, ma non ci sono ancora studi che confermino queste differenze di genere – spiega Elena Ortona -. Per questo, vogliamo monitorare l’efficacia di questi medicinali nella donna e nell’uomo, allo scopo di avere un approccio terapeutico mirato, quindi una maggiore appropriatezza delle cure. Per esempio, si potrebbe utilizzare un farmaco diverso o un diverso dosaggio dello stesso medicinale negli uomini e nelle donne».

Diversi fattori

Ma perché le donne sono più predisposte? «Ci potrebbero essere diversi fattori, sia biologici che genetici, ma anche ambientali – risponde la ricercatrice -. Nelle donne la risposta immunitaria è più elevata, anche per la presenza degli estrogeni che l’attivano, ma questa è un’arma a doppio taglio: da un lato le rende più resistenti alle infezioni, dall’altro, più suscettibili a malattie autoimmuni». Dipende, poi, dal tipo di patologia di cui si soffre. Spiega la ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità: «L’artrite reumatoide, per esempio, avendo una forte componente infiammatoria, si “spegne” durante la gravidanza quando c’è il picco di estrogeni, mentre per il motivo opposto ci potrebbe essere una ricaduta in menopausa. Al contrario, il lupus eritematoso può riacutizzarsi durante la gestazione, mentre si attenua in menopausa».

Più esposte

Ma non è solo una “questione” di ormoni. «Le donne potrebbero essere più esposte alle malattie autoimmuni anche per un meccanismo di natura genetica – afferma Ortona -. In particolare, nelle donne sono presenti due copie del cromosoma X che presenta diversi geni direttamente coinvolti nelle risposte immunitarie». Le malattie autoimmuni potrebbero essere sollecitate anche dal contesto ambientale, dagli stili di vita, da abitudini alimentari. «Un ruolo primario hanno i fattori occupazionali che comportano l’esposizione a molecole di diversa natura, sia chimiche che biologiche – spiega la ricercatrice -. Tradizionalmente le donne trascorrono più tempo a casa, quindi sono più esposte ad antigeni presenti nell’ambiente domestico (muffe, acari, ecc.) in grado di interferire sulla risposta immunitaria. Inoltre, sono esposte agli effetti immunomodulanti degli ormoni esogeni contenuti nelle pillole anticoncezionali e nella terapia sostitutiva».

In gravidanza

Ma qual è l’impatto della malattia reumatica su aspetti della salute “al femminile” come contraccezione, programmazione di una maternità, gravidanza? Due anni fa la Sir ha avviato uno studio multicentrico che ha raccolto dati su 398 donne con malattie reumatiche in età fertile, in cura presso 24 centri italiani. Dai dati preliminari emerge che a più del 30% delle pazienti non è mai stato chiesto se avessero intenzione di avere figli. Un’analoga percentuale afferma di non aver mai discusso di contraccezione con lo specialista. «Chi ha usufruito di questo tipo di consulenza – riferisce Angela Tincani – l’ha ricevuta solo dal ginecologo, nonostante gli estrogeni contenuti nei contraccettivi possano influenzare il decorso della malattia reumatica e, quindi, sia rilevante il ruolo del reumatologo. Inoltre, il 30-40% delle pazienti non ha ricevuto alcuna indicazione riguardo al “come” e al “se” la malattia avrebbe potuto variare durante la gestazione, sebbene alcuni studi abbiano dimostrato che le pazienti con malattie reumatiche, informate e seguite dallo specialista durante la gravidanza, conducano una vita familiare migliore. Questi dati – sottolinea la reumatologa – segnalano che i medici devono trovare il tempo per condividere informazioni fondamentali con le pazienti in età fertile».

Il registro

Negli ultimi anni sembra definitivamente sfatata la falsa credenza che le pazienti con malattia reumatica non possano avere figli. Anche chi ha una malattia autoimmune, quindi, può prevedere una gravidanza, purché sia sotto controllo. Di fatto, però, le donne con malattie reumatiche hanno un minor numero di figli rispetto alla popolazione normale. I motivi? «Hanno paura di trasmettere la malattia al bambino, che i farmaci possano compromettere la salute del piccolo e, inoltre, soprattutto quelle che soffrono di artrite temono di non essere in grado di crescerli – spiega Tincani -. Come Società scientifica abbiamo deciso di monitorare le condizioni di salute delle donne con malattie reumatiche nel periodo della gravidanza istituendo un registro nazionale, in modo da poter confrontare i trattamenti farmacologici, l’andamento della malattia nelle pazienti e la salute dei neonati». (Corriere.it)