Pro e contro del protocollo chirurgico che ti rimette in piedi dopo l’intervento

Pensiamo a un intervento chirurgico subito, siamo stanchi e debilitati, riteniamo che la cosa migliore sia rimanere in ospedale, in osservazione, a recuperare le energie e il trauma subito da organi e tessuti. Eppure in maniera controintuitiva in questo caso “meno” è meglio, ossia il miglior recupero dopo un intervento chirurgico si ottiene proprio con una dimissione tempestiva e un ritorno alle attività quotidiane. Quando ne ho sentito parlare per la prima volta, al convegno Intercare durante il quale moderavo la sessione dedicata alla chirurgia bariatrica, il primo pensiero è che fosse una strategia orientata a diminuire il costo della degenza ospedaliera che in acuto può superare e di molto i mille euro al giorno. E Dio solo sa se abbiamo bisogno di risparmiare, ma durante le relazioni mi sono resa conto che talvolta è necessario rinunciare alle proprie opinioni radicate per assumere prospettive nuove.

All’ospedale Humanitas questo protocollo chiamato ERAS, sigla di Enhanced Recovery After Surgery viene applicato per molti interventi su patologie gastrointestinali, colorettali e pancreatiche, ma la sua applicazione si sta diffondendo – sia pure con lentezza – in tutti i centri di eccellenza chirurgica nazionali.

Si tratta di un protocollo, ossia di una serie di procedure codificate che prevedono la collaborazione attiva del paziente (e, se possibile, dei suoi familiari) e si basa su alcuni accorgimenti che devono essere presi nella fase precedente ed in quella successiva all’intervento.

Prima dell’intervento è necessario che il paziente si prepari adeguatamente attraverso una alimentazione sana ed equilibrata, la cessazione del fumo e dall’alcol almeno 30 giorni prima del ricovero in ospedale ed almeno 30 minuti al giorno di attività fisica (anche leggera). Mentre nei giorni immediatamente successivi i medici indicheranno quando riprendere l’alimentazione e ricominciare a camminare; si tratta di azioni molto importanti per migliorare il recupero e anche il risultato dell’intervento.

Negli ultimi due decenni, l’implementazione nella pratica clinica della chirurgia mini-invasiva ha consentito di ridurre significativamente i tempi di ripresa e la durata della degenza dopo chirurgia addominale maggiore, con un conseguente miglioramento dei risultati a breve termine e della qualità percepita da parte dei pazienti.

Nota tra gli addetti ai lavori anche con il termine “Fast-track surgery” la serie di procedure da mettere in atto mira a di ridurre al minimo la risposta metabolica, neuroendocrina e dell’intero organismo allo stress chirurgico, ottenendo una ripresa funzionale più precoce, una riduzione delle complicanze post-operatorie, una durata inferiore della degenza, e consente una maggiore qualità della cura.

Sviluppata dal chirurgo danese Henrik Kehlet a metà degli anni ’90, la chirurgia “fast track” associa alle tecniche chirurgiche mini-invasive ed endoscopiche, protocolli gestionali del paziente che mirano al ristabilimento precoce delle normali funzioni, al controllo ottimale del dolore, alla riabilitazione postoperatoria intensiva (es. ripresa precoce dell’alimentazione e della deambulazione). Kehlet ha analizzato criticamente la questione e si è reso conto che buona parte di quei dogmi in realtà non erano basati sull’evidenza e, cosa più importate, una volta messi in discussione miglioravano significativamente il decorso.

Perché funzioni è necessario un paziente collaborativo e l’integrazione di tutti gli operatori sanitari (medici, infermieri, fisioterapisti, nutrizionisti, etc.) per garantire la partecipazione attiva (es. alimentazione, mobilizzazione precoce, rimozione dei presidi, etc.).

Il programma ERAS prevede tre fasi:

Nella FASE PREOPERATORIA avviene la preparazione ed informazione del paziente. Prevede l’attuazione di un adeguato programma informativo sulle procedure chirurgiche ed anestesiologiche. È essenziale inoltre fornire al paziente consigli di tipo educazionale, tra cui diminuzione se non cessazione del fumo (importante fattore di rischio per complicanze postoperatorie polmonari) e l’astensione dall’alcool.

Il digiuno pre-operatorio dalla mezzanotte del giorno precedente l’intervento, è un concetto ampiamente discusso e ormai in buona parte superato; sulla scorta di numerosi studi presenti in letteratura, il protocollo ERAS prevede infatti l’assunzione di liquidi fino a 2-3 ore prima dell’intervento chirurgico e la somministrazione di un carichi glucidici prima dell’intervento, in modo da garantire un ottimale stato metabolico-nutrizionale. Addio anche agli odiosi clisteri e lassativi che possono portare a disidratazione, squilibri elettrolitici, e problemi “canalizzazione” (ossia di ripresa delle funzioni intestinali) nel periodo postoperatorio e lo stress psico-fisico.

La FASE INTRAOPERATORIA comprende tutte le attività che si svolgono dal momento in cui la persona assistita entra in sala operatoria sino a quando esce e viene portato in reparto. Include la preparazione del paziente all’anestesia, il suo corretto posizionamento sul lettino operatorio, il monitoraggio anestesiologico, il mantenimento delle migliori condizioni di sicurezza durante la procedura chirurgica e l’assistenza durante il risveglio.

Il protocollo prevede accorgimenti per evitare un sovraccarico di liquidi e abbassamento della temperatura corporea mentre il dolore postoperatorio viene controllato con una analgesia loco-regionale con blocco selettivo dei nervi. Questa tecnica ha dimostrato di ridurre le richieste di oppiacei e l’incidenza di nausea e vomito dopo l’intervento.

La FASE POSTOPERATORIA ha come obiettivo un recupero rapido e sicuro. Per ottenere questo risultati gli studi hanno mostrato che è fondamentale che il paziente si alzi sin dal giorno dell’intervento il che previene complicanze respiratorie e cardiocircolatorie

Abbandonata anche la pratica del digiuno sino a che il paziente non è andato al bagno, che non sembra aumentare il rischio di complicanze postoperatorie, ma anzi pare favorire un pronto ripristino della funzione intestinale ed una sensibile riduzione dei tempi di degenza.

Il dolore prevede un approccio che combina l’anestesia locoregionale con una terapia sistemica in cui si cerca di evitare la somministrazione endovenosa di oppiacei. E per finire via il catetere vescicale il prima possibile, in modo da diminuire l’incidenza di infezioni genito-urinarie.

“Tra i vantaggi di ERAS c’è la dimissione precoce, ma il risultato più importante è una riduzione dello ‘stress’ operatorio, del disagio che porta in maniera virtuosa ad una riduzione delle complicanze”, racconta dal palco di Intercare il professor Giuseppe Marinari, Responsabile dell’Unità operativa di chirurgia dell’obesità dell’Ospedale Humanitas: ERAS è applicabile a molte branche chirurgiche: ortopedica, colorettale, urologica, ginecologica, bariatrica e vascolare. Ma perché funzioni è opportuna un’accurata selezione sia del paziente che della situazione clinica: esclusi ad esempio gli interventi in urgenza e quelli ad alto rischio operatorio. Ma anche ai pazienti non collaboranti o con patologie mentali, disordini psicotici, problemi di alcolismo e tossicodipendenze, incapaci a seguire un protocollo di follow up o privi di un supporto sociale.

Come spiega il dottor Alessandro Giovannelli, responsabile di chirurgia dell’obesità dell’Ospedale San Ambrogio: Questo tipo di protocollo prevede un alto livello di “engagement” del paziente ossia di collaborazione. Nelle procedure di chirurgia bariatrica prevediamo che il paziente sia aiutato ad alzarsi e camminare già 30 minuti dopo l’intervento e dopo la dimissione il paziente viene seguito anche a distanza con telefonate di controllo da parte di personale specializzato che aiuta e offre consigli.

Negli ultimi giorni un drammatico caso di cronaca ha fatto molto parlare della chirurgia definita per perdere peso. Una maniera non corretta di definire un trattamento salvavita, se pensiamo che nelle persone con indice di massa corporea superiore a 55 si ha una aspettativa di vita di 14 anni inferiore. E che nell’obesità conclamata permette di diminuire la gravità del diabete e il rischio di morte per eventi cardiovascolari. Eppure su circa 600mila obesi in forma grave che sarebbero candidati all’intervento, solo 15mila accendono all’operazione considerata la tappa finale di un percorso costellato di fallimenti.

Nonostante i vantaggi, applicare un protocollo ERAS è complesso: prevede un impegno più intenso e continuo che coinvolge diverse figure professionali, in particolare il chirurgo, l’anestesista, l’infermiere ma anche quando necessario ad esempio il nutrizionista, il fisioterapista, lo psicologo e soprattutto il paziente e il suo entourage familiare che devono essere formati e informati dell’importanza di ciò che gli viene proposto.

Tuttavia, secondo una comunicazione della Società Italiana di Chirurgia: “Sebbene il programma sia fondato su solide basi scientifiche e avvalorato da i più alti livelli di Evidence Based Medicine (Trial Clinici e metanalisi) la sua diffusione in Italia è stata molto lenta e la sua adozione tuttora stenta ad affermarsi”.

Quante unità operative lo applicano in Italia? Ancora poche, troppo poche. (huffingtonpost)