Algodistrofia: un dolore che brucia la pelle, ma sono le ossa a soffrire

Si chiama algodistrofia ed è una rara forma di infiammazione acuta scaturita da disturbi circolatori. Si propaga ai tessuti molli e alla struttura scheletrica. Parentele con l’osteoporosi

Un trauma, una frattura, una semplice immobilizzazione ed ecco che dopo un po’ di tempo la mano (o il piede) comincia a fare male. E il dolore aumenta progressivamente fino a sembrare un fuoco che divora l’arto. «L’algodistrofia – spiega il professor Luigi Sinigaglia, presidente della Società Italiana dell’Osteoporosi e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMS) e responsabile di Reumatologia all’Istituto Ortopedico G. Pini di Milano – è una malattia relativamente rara che coinvolge quasi esclusivamente le estremità, quindi mani e piedi, e ha una prevalenza leggermente maggiore nel sesso femminile. Nella quasi totalità dei casi esiste un precedente rappresentato spesso da un trauma, da una frattura o da una semplice immobilizzazione a scopo terapeutico, ma sono stati segnalati anche casi conseguenti ad altri eventi come il diabete, un infarto miocardico, un episodio di ischemia cerebrale o l’uso di alcuni farmaci».

L’algodistrofia è un evento infiammatorio innescato da un disturbo micro-circolatorio che coinvolge i tessuti molli e lo scheletro. I sintomi sono evidenti: edema, gonfiore, pelle lucida, sudata e calda. Mentre a livello scheletrico c’è una grave demineralizzazione che può causare anche delle fratture spontanee. Il sintomo dominante è il dolore: forte, lancinante e sproporzionato allo stimolo. Basta un semplice tocco sulla parte gonfia (a causa dell’infiammazione) per causare uno spasmo acuto. All’esame radiologico compare un’osteoporosi localizzata, che in genere regredisce con il regredire della malattia. Se non trattata precocemente, la malattia può causare invalidità permanente nella funzionalità della mano o del piede.

«L’indagine radiologica rappresenta spesso la chiave diagnostica fondamentale – dice il professor Silvano Adami, direttore di Cattedra e Scuola di specializzazione in Reumatologia all’Università di Verona -. Il quadro più tipico è costituito da un’osteoporosi ‘maculata’, ovvero disomogenea per la presenza di aree dove il riassorbimento osseo è più evidente. Con il progredire diviene più frequente il riscontro di osteoporosi omogenea con una riduzione della densità ossea del 30% circa, che persiste anche dopo la guarigione».

«Al momento, i farmaci che offrono maggiori garanzie di efficacia sono sicuramente i bisfosfonati – precisa il professor Sinigaglia – che grazie alle elevate concentrazioni raggiunte nella sede patologica sono in grado di contrastare l’edema midollare che sostiene la malattia , migliorando rapidamente il trofismo scheletrico e riducendo di conseguenza i sintomi». La fisioterapia è un insostituibile complemento alla cura farmacologica e riduce le conseguenze a distanza.

L’osteoporosi è una patologia cronico-degenerativa fra quelle a maggiore impatto non solo sanitario, ma anche economico e sociale. Viene definita epidemia silenziosa perché, priva di sintomi specifici. Infatti esordisce spesso con fratture che riguardano vertebre, femore, polso e altri distretti scheletrici. Le ossa diventano spugnose e subiscono diminuzione di densità e modifiche alla loro microarchitettura. Nella sostanza, lo scheletro perde massa ossea e resistenza. Ormai da tempo, la classe farmacologica che offre maggiori garanzie di efficacia nella cura è rappresentata dai farmaci antiriassorbitivi della classe dei bisfosfonati.

[Fonte http://qn.quotidiano.net/salute/2013/11/05/977581-dolore_brucia_pelle.shtml]