Bradicardici, lo sforzo intenso ‘rimodella’ il cuore

bradicardia

Il cuore d’atleta, ovvero il rallentamento del ritmo cardiaco che più tipicamente si verifica negli sportivi, non è dovuto ad un aumento dell’attività del sistema nervoso parasimpatico come si è creduto fino ad oggi, ma alla modificazione della cosiddetta corrente “funny”, nota anche come corrente del “pacemaker”. Lo sostiene uno studio internazionale appena pubblicato su Nature Communications e condotto dall’Università di Manchester e il Dipartimento di Bioscienze della Statale di Milano.

Chi pratica attività sportiva intensa, in particolare gli atleti, anche se hanno condizioni di salute eccellenti, con l’avanzare dell’età possono essere soggetti a disturbi cardiaci, come le aritmie, derivanti proprio dalla straordinaria performance del loro muscolo più prezioso: il cuore. “L’esercizio fisico prolungato riduce la frequenza cardiaca, cioè provoca bradicardia” spiega Dario Di Francesco del Dipartimento di Bioscienze della Statale di Milano. “Questo adattamento è normalmente benefico in quanto associato a una maggiore efficienza contrattile del cuore e permette al sistema cardiovascolare di fornire migliori prestazioni durante l’attività fisica”.

Ma gli atleti che praticano sport intensi per lunghi periodi di tempo, a lungo andare possono essere soggetti a disturbi cardiaci come le aritmie. Mentre un cuore normale batte a 60 battiti/minuto, il cuore di atleti che praticano intensamente esercizi aerobici (di resistenza) può scendere fino a 30 battiti/minuto, e anche a valori più bassi durante il sonno. In effetti è noto che la probabilità di aver bisogno di un impianto di pacemaker aumenta negli atleti anziani.

L’insorgenza della bradicardia negli atleti è stata da sempre attribuita ad un aumento dell’attività del nervo vago del sistema nervoso parasimpatico che controlla il ritmo cardiaco insieme al sistema simpatico: il primo lo rallenta e il secondo lo accelera. Il rallentamento della frequenza cardiaca era quindi finora stato attribuito a un maggiore tono vagale. Ma ora questo studio ha radicalmente modificato questa interpretazione ed ha concluso che la bradicardia indotta dall’allenamento intensivo negli atleti è dovuta a un vero e proprio rimodellamento del cuore.

Secondo i ricercatori, responsabile del rallentamento del ritmo cardiaco è una modificazione della corrente “funny”, nota anche come corrente del “pacemaker”.  “Questa corrente è ormai ampiamente riconosciuta come il fattore che controlla la generazione del ritmo cardiaco e la regolazione della sua frequenza” spiega Di Francesco che nel suo Laboratorio all’Università Statale di Milano conduce studi in merito già dal 1979. Studiando roditori allenati e sedentari i ricercatori hanno dimostrato che l’allenamento induce un vero e proprio “rimodellamento” del cuore, associato ad alterata espressione di molti canali ionici cardiaci, tra cui i componenti molecolari dei canali ‘funny’, nelle cellule del nodo seno atriale. Le modifiche indotte dall’allenamento sull’espressione della proteina canale sono tali da giustificare la bradicardia del “cuore d’atleta”.

Questo studio fornisce la base molecolare per capire come mai gli atleti anziani che si sono costantemente dedicati a discipline sportive aerobiche o di resistenza sono più propensi a sviluppare disturbi del ritmo cardiaco. Se i risultati dimostrati nei roditori fossero confermati nell’uomo, avrebbero implicazioni importanti per la salute cardiovascolare degli atleti, in particolare per quelli anziani.

Sono numerosi i casi di atleti famosi affetti da bradicardia, specialmente tra i ciclisti. Tra i più noti, c’è senz’altro Fausto Coppi: si dice che il suo cuore battesse meno di 40 volte al minuto. Del marciatore Alex Schwazer esiste un dato che parla addirittura solo 28 battiti, un livello raggiunto anche dallo spagnolo Miguel Indurain, vincitore di grandi corse a tappe, campione del mondo a cronometro e medaglia d’oro olimpica; e poi Lance Armstrong (32 battiti/minuto), Marco Pantani (32-33) e Vincenzo Nibali. “Non è un caso che il cuore d’atleta sia più frequente tra i ciclisti professionisti – spiega  Antonio La Torre, preparatore atletico e docente presso il Dipartimento di scienze biomediche per la salute dell’Università di Milano – perché sono atleti che fanno all’incirca 1500 ore di allenamento all’anno e sottopongono il cuore a grossi sforzi in modo continuativo”.  Anche i maratoneti e gli sportivi che praticano  discipline di endurance sono più soggetti a bradicardia.

Per chi non fa sport a livello agonistico, l’attività fisica svolta con costanza è fondamentale per mantenere il cuore in buona salute.  “L’allenamento costante fa sì che il cuore, giorno dopo giorno, impari a fare economia e diventi più bravo perché è in grado di pompare più sangue a ogni contrazione” spiega La Torre. Inoltre, il movimento ci fa dimagrire e anche questo è un aiuto per il muscolo cardiaco che così deve irrorare un corpo che pesa meno.

[Fonte http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2014/06/04/news/scoperto_il_segreto_di_coppi_e_del_cuore_d_atleta-88058584/]