Cos’è la sindrome da fatica cronica e come riconoscerla

Per anni, la sindrome da fatica cronica è stata considerata un disordine psicologico. “È tutto nella tua testa”, si sente dire spesso chi ha questa difficoltà. “Avresti molta più energia se solo facessi più esercizio fisico”. Ma da qualche tempo, importanti organizzazioni sanitarie hanno rivisto la loro posizione, e hanno iniziato a considerarla una malattia a lungo termine da affrontare in modo serio.

La sindrome da fatica cronica, anche detta encefalomielite mialgica o malattia da intolleranza sistemica allo sforzo (comunemente indicata come CFS/ME) è caratterizzata da una fatica invalidante che si protrae per un periodo di almeno sei mesi – ma che può durare anche anni – unita a dolore fisico e problemi cognitivi. Per chi è affetto da questa patologia, anche le attività più semplici, come lavarsi i denti, fare la doccia o partecipare a un evento, possono portare a una fatica debilitante, che è il principale sintomo della malattia.

La fatica cronica è probabilmente causata dalla distruzione della risposta del sistema immunitario alle infezioni o allo stress e ha molti elementi in comune con malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide, ma senza danni apparenti ai tessuti.

Sulla fatica cronica è uscito di recente un articolo pubblicato del New York Times, ripreso dal quotidiano britannico Independent martedì 5 dicembre 2017. L’articolo sottolinea che sia gli esperti del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti, sia quelli del National Institute for Health and Care Excellence nel Regno Unito, stanno rivedendo le linee guida per gestire questa malattia, dopo una sua rivalutazione scientifica.

Quali sono i sintomi?

Le persone con sindrome da fatica cronica non sono semplicemente stanche, ma soffrono di estrema stanchezza dopo un’attività fisica o mentale che non avrebbe causato un problema prima che la malattia si sviluppasse. Inoltre, non traggono giovamento dal sonno o dal riposo.

I sintomi della sindrome peggiorano tipicamente in seguito a sforzi minimi dopo i quali i pazienti vengono colpiti da un collasso e possono impiegare giorni o settimane a riprendersi. Anche addormentarsi, o rimanere addormentati, può essere difficile. I pazienti descrivono inoltre la loro attività mentale come “appannata”, con problemi di memoria e mantenimento dell’attenzione.

Un altro sintomo comune sono dolori muscolari non legati a infortuni, e mal di testa peggiori del solito. Alcune persone soffrono di problemi allergici o digestivi.

Esistono poi una serie di altri fattori che possono precedere lo sviluppo della sindrome da stanchezza cronica. Una persona su dieci a cui viene diagnosticata questa sindrome, riferisce di averla sviluppata in seguito a un’infezione con il virus Epstein-Barr, il virus Ross River o Coxiella burnetii, agente eziologico della febbre Q.

Inoltre questa sindrome è spesso accompagnata da disturbi del sistema immunitario, tra cui livelli cronicamente elevati di citochine, che cambiano il modo in cui il corpo risponde allo stress; e la scarsa funzionalità delle cellule che riducono naturalmente la capacità di combattere le infezioni e l’attività anormale dei linfociti-T necessari per una risposta appropriata alle infezioni.

Diagnosticare questa sindrome non è semplice, e richiede una serie di approfondimenti medici e psicologici. La diagnosi diventa ancora più complessa se il paziente è un bambino o un adolescente. Questa malattia può infatti essere confusa con disordini psicologici, deficit dell’apprendimento o semplicemente pigrizia.

Come si cura la sindrome da fatica cronica?

In precedenza, la “terapia” suggerita dal CDC statunitense, era di due tipi. Il primo suggerimento era un graduale aumento dell’esercizio fisico; il secondo era il ricorso a una forma di psicoterapia cognitivo-comportamentale. Nessuno di questi due trattamenti, tuttavia, era supportato da evidenze scientifiche. Anzi, come sottolinea Jane E. Brody sul New York Times, talvolta il ricorso a questi rimedi era addirittura controproducente.

Tali rimedi erano basati su una vecchia teoria, in base alla quale i pazienti che soffrono di CFS/ME ritengono erroneamente di avere una vera e propria malattia fisica. Di conseguenza, diventano sedentari perché temono che l’attività fisica li farà peggiorare. Per questo cadono in un circolo vizioso che li porta ad alimentare i propri sintomi.

Questo fraintendimento da parte della comunità scientifica, è motivato dalla difficoltà di concepire l’idea che “un disordine privo di anomalie fisiche abbia una base fisica”, come si legge sull’articolo del New York Times.

L’estate scorsa, con molta soddisfazione di circa un milione di cittadini statunitensi stimati che soffrono di questa sindrome, il sito del CDC ha eliminato queste raccomandazioni, respingendo ufficialmente questa teoria.

Ma esiste una terapia riconosciuta dalla scienza per questi casi?

Al momento, purtroppo, non si conosce una cura. Ma i pazienti possono beneficiare di alcuni trattamenti per alleviare i sintomi che provocano gran parte dei problemi.

Se ad esempio si ha difficoltà a dormire, il New York Times sostiene che si può provare ad attuare una routine con cui si va a letto e ci si sveglia alla stessa ora ogni giorno, si possono limitare i pisolini a 30 minuti al giorno e si possono rimuovere tutte le distrazioni, tra cui televisione, computer e smartphone, dalla camera da letto.

Se i dolori muscolari o articolari sono particolarmente debilitanti, è bene consultare uno specialista. Chi ha difficoltà di memoria o di concentrazione può utilizzare farmaci usati per il disturbo da deficit di attenzione o iperattività.

Si può anche provare a ridurre al minimo la fatica, trovando modi più semplici per eseguire le faccende essenziali, come sedersi mentre si prepara il cibo o si fa la doccia. Un altro suggerimento pratico è quello di fare la spesa online e farsela consegnare a casa. (Tpi.it)