Gli animali con il camice che ci salvano la vita

pet-therapy

Jo Jo è un bellissimo golden retriver di sei anni. Docile e molto paziente ha un compito importantissimo: tenere compagnia ai bambini durante le lunghe sedute dal dentista. Per distrarli e rilassarli durante le visite.

Questo cane così speciale viene utilizzato come «assistente» degli odontoiatri della clinica Pediatric dentistry of Northbrook, in Illinois. E i risultati sono molto positivi: i piccoli pazienti, grazie alla presenza dell’animale a bordo poltrona, sono meno ansiosi e più inclini ad accettare le operazioni. Da parte loro, i medici riescono a usare meno farmaci e meno sedativi. Quella portata avanti negli Stati Uniti è una delle moltissime sperimentazioni relative alla pet therapy. Una pratica ormai consolidata anche nel nostro Paese, dove piano piano tutte le regioni ne stanno recependo le linee guida, in attesa che le Asl facciano un passo avanti alleggerendo il carico economico sopportato dai pazienti.

Gli animali più utilizzati sono senza dubbio i cani. Seguiti da gatti, asini e cavalli. Ma con il tempo sempre più specie hanno dimostrato di poter agire come veri e propri salvavita per gli uomini. Così anche pappagalli, pesci rossi, conigli, tartarughe, asini e criceti hanno cominciato a lavorare a fianco dei sanitari. Affiancati, in tempi più recenti, anche da elefanti e leoni marini. Le patologie sulle quali la pet therapy si è rivelata fondamentale per migliorare la qualità della vita e della salute sono molte: dall’autismo alla depressione. I risultati sono stati talmente incoraggianti da aver spinto alcuni ospedali e case di cura italiane ad aprire le proprie porte a questi «dottori» speciali. «Sono fondamentali in molti casi conferma Spartia Piccinno, presidente dell’Associazione italiana pet therapy -. Dalla fisioterapia, alla logopedia molte tecniche di riabilitazione possono essere facilitate dalla presenza di un animale. Questo perché i cani, per esempio, risvegliano l’interesse dei pazienti rispetto alle terapie e le rendono più divertenti. Inoltre costringono la persona malata a muoversi, e questo abbrevia i tempi di recupero». La stessa cosa accade quando il danno è di natura psicologica. «Gli amici a quattro zampe fanno compagnia e aumentano la voglia di vivere – prosegue l’esperta -. Il tutto senza particolari controindicazioni, a meno che la persona malata non soffra di allergie al pelo». I cani sono di gran lunga i più utilizzati: entrano in corsia in caso di autismo, depressione, demenza senile, disabilità, danni motori, dislessia e problemi legati al linguaggio. Più recentemente sono stati addestrati per i reparti destinati ai malati terminali per esempio al policlinico San Marco di Mestre e per scoprire attraverso l’olfatto diabete e cellule cancerogene.

Ma ci sono anche i gatti, che qualche mese fa hanno avuto il via libera nelle strutture residenziali dedicate ai malati terminali di Firenze e che sono impiegati anche per combattere ansia e depressione. E ancora i cavalli, molto utili in caso di autismo, depressione, disturbi muscolari e neurologici, problemi post-trauma, disabilità con forte componente fisica e disturbi emotivo-relazionali. Negli anni più recenti sono state anche scoperte le virtù degli asini, che grazie al loro carattere calmo e paziente possono aiutare in caso di disturbi psichiatrici o comportamentali e disabilità motorie. Anche gli uccelli, come pappagalli e canarini, sempre più spesso sono impiegati nei progetti rivolti agli anziani e per la riduzione dell’aggressività. Senza dimenticare i conigli (sono usati soprattutto nei reparti di pediatria), i delfini (destinati a persone con disturbi emotivi e relazionali, con sindrome autistica e con problemi nella sfera affettiva), i criceti (sono usati a scopo riabilitativo in alcune carceri), i pesci rossi e le tartarughe (aiutano a guarire da stress, ansia e depressione).

Da qualche anno, poi, è possibile vedere al lavoro anche i più esotici elefanti indiani e leoni marini. Succede al Bioparco e Zoomarine di Roma grazie al progetto sperimentale lanciato dall’Istituto dermopatico dell’Immacolata. Nel 2010 un gruppo di sei ragazzi autistici tra 8 e 14 anni ha cominciato a frequentare una volta alla settimana la Baia dei pennipedi di Zoomarine, a Torvaianica, dove vivono tredici esemplari tra foche e leoni marini. I risultati sono stati talmente positivi da aver esteso il progetto anche ai pachidermi. Che non si tirano certo indietro, perché aiutare l’uomo fa bene anche a loro. «La relazione fra essere umani e animali è sempre benefica, ma è necessario che sia guidata avverte Maria Chiara Catalani, veterinario -. Questo perché la presenza di un cane o un gatto non deve trasformarsi in un rifugio nel quale isolarsi, ma grazie alla presenza di un esperto deve spingere la persona malata a reagire». Per questo non tutte le specie sono adatte. «Gli animali devono avere particolari caratteristiche va avanti -. Devono essere adulti, sani ed equilibrati dal punto di vista comportamentale. Inoltre devono essere stati preparati attraverso uno specifico percorso di formazione e mostrare gradimento rispetto alle attività proposte». Se tutti i parametri sono rispettati, per i pazienti diventano veri e propri salva vita. «Il contatto fra persone malate e animali fa benissimo e non ha risvolti negativi conferma Michele Zecchini, medico di medicina generale -. Sono ansiolitici naturali, aumentano le endorfine e permettono di accettare meglio le terapie. Specialmente nel caso dei bambini. Inoltre aiutano a sopportare più facilmente gli interventi chirurgici, permettendo ai medici di lavorare in un clima più sereno e di diminuire la somministrazione di farmaci. Questo è particolarmente vero nel caso di persone diabetiche o depresse».

Per tutte queste ragioni in Italia si spinge molto affinché la pet therapy non solo sia riconosciuta in tutta la sua importanza, ma sia anche supportata a livello economico. Al momento le Asl non rimborsano chi ne faccia ricorso. Le uniche facilitazioni riguardano il cane guida per i ciechi (viene concesso gratuitamente, ma il mantenimento è a carico del paziente) e per gli animali per uso terapeutico che, dallo scorso febbraio, non possono più essere pignorati. Insomma, il nostro Paese deve fare ancora molta strada. Qualcosa però si muove: nove regioni hanno già fatto proprie le linee guida della pet therapy, pubblicate nel marzo 2015. «Si tratta dei protocolli per la formazione e gli interventi riconosciuti conclude Piccinno -. Adesso le amministrazioni sono chiamate a indicare quali enti potranno lavorare nel settore per erogare i servizi». Nell’attesa, a Genova è stato istituito il primo master dedicato alla formazione degli operatori. Un primo passo per passare definitivamente dall’improvvisazione alla valorizzazione di un mondo che può regalare non solo un po’ di gioia, ma anche una qualità di vita migliore per tantissimi malati. A casa come in corsia.

[Fonte http://www.ilgiornale.it/news/animali-camice-che-ci-salvano-vita-1256033.html]