Gli ultrasuoni non servono come terapia dopo le fratture ossee

ultrasuonoterapia

Di solito non manca nei programmi di riabilitazione dopo una frattura ossea: è il trattamento con ultrasuoni a bassa intensità (quelli, per intendersi, utilizzati nelle ecografie fetali). Ma serve davvero? Secondo una ricerca appena pubblicata sulla rivista British Medical Journal la risposta è negativa.

Lo studio, condotto da ricercatori canadesi, ha preso in considerazione 501 pazienti con una frattura della tibia (è una delle più comuni e interessa uno delle due ossa della gamba), sottoposti a intervento chirurgico (tecnicamente si chiama inchiodamento intramidollare e prevede il posizionamento di un chiodo che fissa le parti dell’osso fratturate) e li ha suddivisi in due gruppi: uno sottoposto a una terapia con ultrasuoni e l’altro a un trattamento cosiddetto sham, cioè finto. Alla fine non sono emerse differenze né per quanto riguardava il tempo di guarigione della frattura (come rilevato alla radiografia) e nemmeno per il recupero delle funzioni della gamba: ad esempio la possibilità di usarla senza limitazioni, di caricare tutto il peso corporeo e di ritornare alle normali attività che si praticavano prima dell’evento traumatico, come quelle ricreative o, addirittura, sportive.

Lo conferma l’autore principale della ricerca Jason Busse, professore di Anestesiologia alla McMaster University di Hamilton, Ontario, Canada: «Non ci sono evidenze che suggeriscano l’uso degli ultrasuoni nella riabilitazione delle fratture della tibia». Il trattamento con gli ultrasuoni è stato approvato fin dal 1994 (sulla base di alcune prove che dimostravano un’accelerazione dei processi di guarigione valutati attraverso le radiografie, però basate su piccole casistiche), ma le industrie produttrici della apparecchiature «non si sono mai molto preoccupate di confermare l’efficacia di questo intervento – precisa Busse. –Il nostro studio può rappresentare uno stimolo perché si approfondiscano i reali benefici di questa metodica».

L’idea di andare a verificare l’effettiva validità dei trattamenti in uso nasce dal fatto che le fratture sono un’evenienza molto comune e che questi trattamenti costano (sia ai pazienti che pagano di tasca propria sia ai sistemi sanitari laddove sono previsti rimborsi). E che ormai in tutto il mondo sta crescendo l’idea di tagliare i trattamenti medici che non dimostrano una reale efficacia. È questo l’obiettivo di due movimenti: il primo è la campagna Choosing Wisely (traduzione:“Scegliere con saggezza”) lanciata nel 2011 dall’American Board of Internal Medicine, il secondo è l’iniziativa “Too much medicine” (troppa medicina, cioè troppi interventi medici anche dove non servono o dove non sono efficaci) promossa dalla rivista inglese British Medical Journal che denuncia lo spreco di risorse in cure non necessarie. Lo studio sugli ultrasuoni è in linea con questa nuova filosofia.

[Fonte http://www.corriere.it/salute/16_novembre_02/ultrasuoni-non-servono-come-terapia-fratture-ossee-7fd73314-a114-11e6-b682-c0789f2dccda.shtml?refresh_ce-cp]