Ossa e cadute, anche i centenari tornano in piedi

Dieci giorni ed è già in piedi. Arzilla come prima, nonostante i 109 anni appena compiuti. E a dispetto della caduta che le aveva causato la frattura del collo del femore. Così riporta Giuseppe Del Bello per la Repubblica. Tra le più comuni e altamente invalidante. Il record di longevità, che va a braccetto col successo della chirurgia ortopedica senile, riguarda Anna, nonnina napoletana reduce da un intervento ricostruttivo. Ormai di routine anche negli over 90, la metodica utilizzata dallo specialista Antonello Vallario si è avvalsa del “chiodo endomidollare” inserito nei monconi fratturati. “Se non fossimo intervenuti  –  confida il chirurgo  –  la paziente sarebbe rimasta allettata per il resto dei suoi giorni. In più, con le piaghe da decubito”.

Protocolli innovativi, riabilitazione precoce e sistemi di prevenzione sempre più sofisticati, il caso di Anna non è isolato. Oggi sono in costante aumento gli anziani che grazie alla chirurgia e ai progressi della tecnologia e dei materiali, ritornano a una vita normale. D’altronde, come spiega Rodolfo Capanna, ordinario di Ortopedia all’azienda universitaria Careggi di Firenze, si tratta di un trend in salita in linea con l’aumento della vita media. In cima alla classifica delle ossa più esposte a frattura nella popolazione anziana c’è il polso, seguito dal femore prossimale (16% del totale) e dall’omero prossimale, cioè la spalla (5-9%). Altrettanto frequenti i crolli vertebrali.

“Le vertebre rappresentano la sede più frequente di frattura da osteoporosi  –  precisa Capanna  –  anche se non abbiamo un’esatta stima di queste lesioni”. Ma è la frattura del femore prossimale (colpisce le donne con un rapporto di 4 a uno) a destare maggior preoccupazione per le conseguenze devastanti se non adeguatamente trattata. Un’occhiata alle cifre: in Italia ci sono oltre dieci milioni di ultrasessantacinquenni e ogni anno si registrano più di 100mila fratture di femore prossimale. La patogenesi di queste lesioni si identifica, in genere, nei cosiddetti “traumi a bassa energia”, ma sufficienti a causare la frattura di un segmento osseo osteoporotico. “L’osteoporosi è una patologia scheletrica sistemica caratterizzata da ridotta massa ossea e da progressivo deterioramento architetturale del tessuto di cui è formato  –  chiarisce il docente  –  e questo spiega l’incremento del rischio-frattura”.

Al  congresso napoletano di Ortopedia (presieduto da Aldo Bova, con Lucio Cillo e Paolo Mallano) i relatori hanno indicato nella caduta accidentale l’evento più frequente, soprattutto negli anziani, spesso affetti da altre patologie. Un trauma talvolta evitabile, che almeno andrebbe trattato entro 48 ore per evitare gravi complicanze. Ma il bisturi è sempre necessario? “La terapia incruenta va riservata alle fratture dell’arto superiore, polso e omero prossimale  –  risponde Capanna  –  ossa a cui, dopo la riduzione della frattura, può essere applicato un gesso e un tutore. Solo se ci si trova di fronte a fratture altamente scomposte, con grave compromissione della normale articolazione, si è costretti alla riduzione chirurgica a cielo aperto, per ricollocare i frammenti nella posizione originale. In questo caso, si ricorre a placche o chiodi endomidollari. E quando non è possibile, si sostituisce il segmento lesionato con protesi cementate “.

Nell’esecuzione delle tecniche chirurgiche riparative è fondamentale utilizzare mezzi di sintesi idonei a ridurre le complicanze da “mobilizzazione” e da “cut-out” del device metallico inserito. In pratica, si verifica una dislocazione del chiodo, della placca, della vite o della stessa protesi dalla sede in cui è stata impiantata. Dipende spesso da un osso poco resistente e di scarsa qualità. “Gli strumenti di fissazione oggi disponibili sono rappresentati dalle viti cannulate che servono a stabilizzare le fratture del collo del femore composte, dalle placche da applicare sulla parete laterale del femore, dai chiodi endomidollari con vite da inserire nel canale femorale, e dalle endo-artroprotesi (sostituzione dell’intera testa del femore). In casi selezionati si ricorre all’iniezione di cemento all’interno della frattura per aumentare la tenuta delle viti”.

Dal congresso di Napoli novità anche sul fronte prevenzione. L’ultima risorsa è rappresentata dalla imbracatura salva-anche, sorta di mutande dotate di strutture a cuscinetto poste bilateralmente nella regione del grande trocantere (lateralmente al collo femore) e che, in caso di caduta, ammortizzano l’urto. “Sono consigliate ai soggetti fragili sotto il profilo scheletrico  –  chiarisce Bova  –  quando sono in piedi e durante il cammino. È un presidio poco conosciuto. Ma insisto, la prevenzione dell’osteoporosi va fatta già nelle scuole per radicare nei giovani la cultura del corretto stile di vita”.