Quando serve operare il crociato anteriore

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La lesione del legamento crociato anteriore del ginocchio è uno degli incidenti più comuni, tra gli atleti ma non solo. Si verifica a causa di un movimento in cui il ginocchio viene troppo esteso o flesso, oppure spinto bruscamente verso l’esterno o l’interno, per un arresto improvviso durante la corsa, un improvviso cambio di andatura, per una rotazione forzata dovuta a un colpo esterno o per un calcio a vuoto. Il verdetto dell’ortopedico, in questi casi, di solito è uno solo: se il paziente, che spesso è giovane e attivo, vuole riprendere a praticare gli sport che ama, occorre ricostruire il legamento in sala operatoria, ormai quasi sempre tramite artroscopia. Ma il primo studio clinico di alta qualità che ha messo a confronto questo approccio interventista con uno che privilegia l’attesa sembra a prima vista togliere fondamento a questa prassi: a distanza di cinque anni non si sono riscontrati vantaggi significativi tra chi è stato operato subito e poi è stato sottoposto a riabilitazione e chi invece si è sottoposto solo agli esercizi, con l’opzione di operarsi in un secondo tempo solo se l’intervento si fosse reso davvero necessario.

LO STUDIO – La ricerca, che per la sua importanza al di là dell’ambito strettamente specialistico è stata pubblicata sul British Medical Journal, è stata condotta da un gruppo di ricercatori svedesi dell’Università di Lund. «Abbiamo suddiviso in due gruppi 120 giovani adulti tra i 18 e i 35 anni che si erano procurati in vario modo una lesione del legamento crociato anteriore del ginocchio» spiega Richard Frobell, che ha coordinato il lavoro. «A tutti è stato raccomandato un programma di riabilitazione. Ma mentre un gruppo è stato sottoposto subito, entro 10 settimane dal trauma, alla ricostruzione del legamento in artroscopia da parte di un chirurgo esperto, per gli altri si è deciso di adottare una strategia di attesa, per vedere come andava la situazione senza operare. E in effetti la pazienza è stata premiata: a distanza di cinque anni solo la metà di coloro su cui non si è intervenuti subito si era rivolta al chirurgo. E, cosa ben più importante, quelli che non erano mai arrivati in sala operatoria sono riusciti a recuperare esattamente allo stesso modo di chi era stato operato, subito o in un secondo momento». Non si è nemmeno registrata una diversa incidenza di artrosi evidenziabile alla radiografia né di lesioni del menisco. Ma i parametri considerati dai medici svedesi sono andati anche oltre: « Nessuna differenza è stata riscontrata tra i due gruppi anche in termini di dolore, funzione del ginocchio nella vita quotidiana o nella pratica di attività sportive o ricreative, nel grado di attività fisica svolta o nel benessere generale» puntualizza Frobell.

IL COMMENTO – «I nostri risultati dovrebbero quindi spingere medici e pazienti a prendere in considerazione la riabilitazione come primo approccio al trattamento della lesione del crociato anteriore, senza precipitarsi subito in sala operatoria» conclude l’ortopedico svedese, che nella sua analisi ha volutamente escluso i casi estremi di persone estremamente sedentarie e di atleti professionisti. «Anche per tutti gli altri pazienti, tuttavia, le conclusioni dei colleghi svedesi sono discutibili» commenta Roberto Danchise, responsabile dell’Unità operativa di chirurgia del ginocchio dell’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano. «Prima di tutto la radiografia dopo soli cinque anni non può escludere che tra i pazienti non operati non compaia col tempo con maggior frequenza l’artrosi del ginocchio, che di solito richiede parecchi anni prima di manifestarsi. Il fatto poi che la metà dei pazienti cui era stato consigliato di aspettare sono arrivati comunque all’intervento fa pensare che la loro articolazione fosse instabile, e quindi più predisposta all’insorgenza appunto di artrosi». Ora, se questa condizione degenerativa dell’articolazione può essere accettabile in una persona già avanti con gli anni, il gioco non vale la candela in un ragazzo giovane, che potrebbe ritrovarsi con dolore e difficoltà di movimento in un’età ancora molto attiva. «Anche perché gli interventi in artroscopia di oggi, rispetto a quelli di vent’anni fa, sono molto più efficaci, sicuri e poco invasivi» aggiunge Danchise. «A mio parere il primo criterio di valutazione dovrebbe essere l’età: se a vent’anni conviene senz’altro operare, a trenta o a quaranta occorre valutare con il paziente le diverse opzioni, anche in relazione al tipo e all’intensità dell’attività svolta» prosegue l’ortopedico milanese. «Molti cinquantenni preferiscono comunque sottoporsi alla ricostruzione del legamento per poter continuare a sciare o giocare a tennis senza timore di cedimenti improvvisi; altri invece si rassegnano a rallentare i loro ritmi». Insomma, non c’è una regola che valga per tutti, ma ognuno deve soppesare bene le proprie esigenze in relazione al proprio stile di vita, alle proprie esigenze e alle proprie paure. (Corriere.it)