Il dolore calcaneare: un vero e proprio labirinto diagnostico

(del Dott. Alessandro Formica per Medicitalia.it) – Il dolore al calcagno, indicato anche con i termini di tallonitetalagia o tallodinia, riveste un importanza clinica non indifferente per sua frequenza e per le implicazioni invalidanti che comporta nelle attività quotidiane e lavorative del paziente. All’origine di questo sintomo possono esserci cause diverse.

L’importanza di una corretta diagnosi è strettamente correlata alla possibilità di avere risultati terapeutici reali e duraturi.

In questo articolo si affronta il problema dell’inquadramento diagnostico differenziale (cioè il procedimento che porta a stabilire, in un paziente che soffre di tallodina, quale tra le possibili cause sia quella corretta) per analizzare successivamente le patologie che più frequentemente producono dolore calcaneare e le relative possibilità terapeutiche.

 

Classificazione del dolore calcaneare

L’elevato numero di patologie che possono sottendere un dolore calcaneare rendono difficile una classificazione, soprattutto se elaborata per facilitare procedure diagnostiche differenziali. Un primo orientamento potrebbe derivare dalla localizzazione del dolore: posteriore, mediale, laterale, diffuso (classificazione topografica).

Tuttavia, non è infrequente che il dolore possa presentarsi in forma variabile, cioè senza una specifica distrettualità rispetto al tipo di patologia che ne è alla base. D’altra parte cause diverse possono scatenare dolori nella stessa specifica sede ed inoltre può verificarsi che più patologie agiscano insieme nel provocare la sindrome dolorosa calcaneare.

Ne consegue che, per una più precisa diagnosi differenziale è necessario integrare la classificazione topografica con altri parametri di valutazione sia clinici che strumentali e di laboratorio.

 

Diagnostica clinica

La raccolta di un’accurata anamnesi (cioè delle informazione relative alla storia clinica del paziente e delle modalità con cui è insorto e si manifesta il dolore) rappresenta il primo passaggio nell’approccio diagnostico al dolore calcaneare. In particolare, occorre indagare su pregressi eventi traumatici, su malattie sistemiche già note al paziente, su eventuali pratiche sportive. Anche l’età è importante poiché alcune delle cause sono prevalenti o addirittura esclusive di un certo periodo della vita.

Si deve poi individuare la sede precisa del dolore (posteriore, mediale, laterale, plantare diffuso) eventualmente aiutandosi con manovre palpatorie o con la percussione. L’esame clinico, comunque, non và focalizzato al solo distretto podalico. Il primum movens del dolore potrebbe dipendere da anomalie prossimali. Infatti, come una deformità in piattismo o in cavismo del piede predispongono ad una fascite plantare o ad una tendinopatia a loro volta responsabili di una tallodinia, allo stesso modo una dismetria (cioè una differente lunghezza) degli arti inferiori o una grave deformità del ginocchio potrebbero favorire la comparsa di dolori calcaneari.

Con l’ispezione bisogna inoltre considerare se vi siano segni relativi a pregressi atti chirurgici, oppure segni di flogosi, distrofie cutanee o ulcerazioni che suggerirebbero un eziologia postraumatica,metabolica, reumatica o neoplastica della tallodinia. Il riscontro di un obesità rappresenta un importante fattore predisponente per l’insorgenza di un dolore calcaneare cosi come un atrofia del cuscinetto adiposo plantare che si ritiene assorba almeno i 20 % delle sollecitazioni pressorie che si verificano sul tallone.

L’esecuzione di alcune manovre o test clinici aiutano nell’indirizzare la diagnosi verso una specifica causa anche se non esistono dei veri e propri segni patognomonici cioè specifici e indicativi in modo assoluto di una particolare malattia o stato patologico.

La presenza di disturbi neurologici come ipoestesie o parestesie (cioe deficit della sensibilità che appare ridotta o alterata con comparsa di “scosse elettriche”, “bruciori “o “formicolii”) ci deve far pensare ad una origine neuropatica del dolore calcaneare.

 

Diagnostica strumentale e di laboratorio

Il più delle volte, le ipotesi sulle possibili cause del dolore calcaneare derivanti dall’esame clinico necessitano di accertamenti strumentali e di laboratorio per raggiungere la diagnosi definitiva.

In quest’ottica, il primo step cioè la prima indagine da richiedere è l’esame radiografico del piede e della caviglia che deve essere effettuato sotto carico (cioè con il paziente posizionato in stazione eretta) e in due proiezioni. In questo modo è possibile visionare anomalie dello scheletro del piede che in vario modo si rendono responsabili di dolore calcaneare: piede piatto, piede cavo, esiti fratture calcagno, presenza di anomali speroni ossei, o di aree osteolitiche, calcificazioni peritendinee etc..

Se si sospetta un affezione dei tessuti molli (fascia, tendini, muscoli), la radiografia deve essere integrata da esami ecografici.

Qualora permangano dei dubbi, la risonanza magnetica rappresenta l’indagine più sensibile e specifica.

L’esame TC invece svolge un ruolo marginale, assumendo valore diagnostico solo in particolari situazioni come una sospetta sinostosi o nel casi di alcune lesioni neoplastiche, affezioni per altro raramente responsabili di tallodinia.

Se si sospetta una origine neuropatica del dolore è indicato un esame elettromiografico che deve essere condotto da mani esperte viste le peculiarità anatomiche dei distretti da esaminare.

Infine, se il dolore calcaneare si accompagna a segni o sintomi che potrebbero suggerire un origine sistemica dello stesso,diventa indispensabile l’esecuzione di esami di laboratorio (VES,PCR, acidi urici, glicemia, reuma test, fattore HLAB27.. etc) alla ricerca di valori anomali in grado di confermare un origine reumatica, metabolica o di altra natura.

LE PRINCIPALI CAUSE DI DOLORE CALCANEARE

1) Fascite Plantare

Cosa è?
Sebbene questo termine venga spesso utilizzato per far riferimento generico alle tallodinie, indipendentemente dalla loro causa, in realtà identifica una ben precisa condizione patologica: l’infiammazione dell’aponeurosi plantare.

Questa è una struttura anatomica costituita da una fascia resistente e sottile localizzata subito al di sotto della cute plantare ed estesa dal calcagno fino alle dita del piede.

Il suo ruolo è quello di proteggere le strutture profonde (vasi,nervi,tendini) della pianta del piede. Inoltre,fa parte del cosiddetto “sistema achilleo-plantare”. Questo sistema,formato dal tendine di Achille,dal calcagno ed appunto dalla fascia plantare, svolge un ruolo fondamentale durante le fasi del passo. In particolare, il tendine di Achille e l’aponeurosi plantare ancorandosi sul calcagno, realizzano un meccanismo a “verricello” che, durante la fase di appoggio e durante la fase di stacco del piede dal suolo, consente prima di ammortizzare e poi sollevare pesi (in questo caso il peso corporeo) in economia di forza.

Quale è la sua frequenza?
La fascite plantare è la causa più frequente di dolore calcaneare. Il picco d’incidenza è in età adulta. E’molto diffusa tra i coloro che praticano attività sportive soprattutto quelle che comportano la corsa, ma si manifesta anche in persone sedentarie in particolare se sovrappeso. L’entità del dolore è variabile da caso a caso: in genere compare già al risveglio e si accentua con il carico fino a raggiungere la sua massima intensità la sera, dopo prolungata stazione eretta.

Quali sono le sue cause?
A provocare l’infiammazione dell’aponeurosi plantare contribuiscono due fattori:

1) microtraumi ripetuti a livello della sua inserzione sul calcagno

2) eccessivo tensionamento del sistema achilleo-plantare

Ne consegue che i principali elementi predisponenti sono rappresentati da:

– dismorfismi del piede che condizionano una brevità dell’aponeurosi plantare (piede cavo) o che sono causa di un’abnorme trazione su di essa (piede piatto)

– obesità

– stazione eretta prolungata.

– attività sportive come la corsa, il salto,il basket,il calcio il tennis, soprattutto se eseguite con calzature non idonee o su terreni troppo rigidi.

Come si arriva alla diagnosi?
In base a quanto detto, è evidente che, da un punto di vista diagnostico, è importante considerare l’età, l’attività lavorativa o sportiva svolta dal paziente (anamnesi) e la morfologia del piede (ispezione). Riguardo alla sede del dolore,abitualmente è localizzato posteriormente in sede plantare e mediale (a livello del tubercolo calcaneare mediale) ma può anche estendersi a tutta la pianta localizzandosi prevalentemente sul versante interno. Alcune manovre cliniche come la dorsiflessione delle dita,mettendo in trazione l’aponeurosi plantare, risvegliano o acuiscono il dolore.

L’esame radiografico del piede, in almeno il 60% dei casi, mostra la presenza di uno sperone osseo, denominato spina calcaneare, localizzato sulla porzione inferiore del calcagno.

Cosa si intende per spina calcaneare e perché è da considerarsi solo un mito?
La “spina calcaneare” visibile alle radiografie spesso viene accusata di essere la causa del dolore al calcagno. In realtà si tratta solo di un segno radiografico, espressione della reazione dell’osso all’infiammazione dell’aponeurosi plantare nel punto in cui si inserisce calcagno. La spina non è quindi la causa del dolore, ma un epifenomeno della fascite e perciò la sua eliminazione chirurgica non ha alcun senso! D’altra parte numerosi lavori hanno evidenziato come questa anomalia radiografica può essere presente anche in soggetti totalmente asintomatici.

Come si cura la fascite plantare?
Il trattamento della fascite plantare prevede in sequenza:

PRIMO STEP

  • Applicare localmente del ghiaccio (l’applicazione del caldo è generalmente sconsigliata)
  • Controllare che le calzature ed in particolare quelle utilizzate durante l’attività sportiva non siano, né troppo rigide, né troppo morbide. Al fine di “ allentare “ la tensione del sistema achilleo-plantare è sempre consigliabile un rialzo al tacco (almeno 2 – 3 cm). Utile l’impiego di talloniere in silicone facilmente reperibili in farmacia. In caso di dimorfismi podalici (piede piatto o cavo) occorre prescrivere adeguati plantari con l’aggiuntivo di uno scarico calcaneare
  • Non esitare ad utilizzare le stampelle se il dolore durante la fase di carico è particolarmente intenso,. Nelle fasi più acute diventa necessaria la prescrizione di farmaci antinfiammatori non steroidei o cecoxib
  • Astenersi dall’attività sportiva, soprattutto nella fase acuta
  • Effettuare dello stretching per l’aponeurosi plantare, il tendine di Achille e la muscolatura del polpaccio, non solamente sull’arto leso ma, sotto forma preventiva, anche su quello sano.
  • Alcune terapie fisiche (Tecar terapia, Ultrasuono terapia, Laserterapia) possono essere inizialmente di qualche giovamento ma, a lungo termine, si rivelano solitamente inefficaci soprattutto se utilizzate come unica forma di trattamento
  • Il taping kinesiologico è un valido aiuto sia in fase acuta che riabilitativa.(Si tratta di un bendaggio adesivo elastico con vari effetti: ripristina la giusta tensione muscolare,facilita l’eliminazione dell edema, riduce il dolore attraverso meccanismi di biofeedback neuropropriocettivi)

SECONDO STEP

Se il dolore non passa e tende a cronicizzarsi occorre cambiare rotta

  • Alcuni autori ritengono molto utile il passaggio alle terapia fisica con Onde d’urto o all’Ipertermia. Si tratta di terapie che presentano comunque delle controindicazioni (età dello sviluppo, gravidanza, disturbi coagulazione) ed effetti collaterali. Pertanto devono essere gestite da personale medico con una specifica esperienza in merito. D’altra parte non sono moltissimi i centri in Italia a poter usufruire di queste apparecchiature, un po’per l’elevato costo, un po’per la solo recente divulgazione di studi sulla loro reale efficacia.
  • Risultati positivi vengono descritti anche con la terapia infiltrativa locale (a livello dell’inserzione della fascia sul calcagno) con farmaci steroidei

TERZO STEP

  • Se la terapia conservativa non riesce ad assicurare una buona guarigione, diventa necessario un intervento chirurgico di “release”della fascia plantare. Ciò significa eseguire dei “ tagli “ sull’aponeurosi in modo da permetterne il rilasciamento e allungamento e quindi allentarne la tensione.

L’intervento avviene in anestesia locale e può essere praticato in duplice maniera: per via endoscopica ed a cielo aperto. Non sempre comunque l’intervento chirurgico è risolutivo (a seconda delle casistiche vi è un 5 – 10 % di insuccessi). Il problema,riteniamo,derivi soprattutto da un errata indicazione.

I pazienti devono essere sottoposti ad intervento di release solo dopo un corretto iter diagnostico clinico e strumentale, e ad un adeguato periodo di terapia conservativa ! (da 6 a 9 mesi secondo le raccomandazioni AFOAS – American Orthopaedic Foot and Ankle Society)

Quando si può ritornare all’attività sportiva?
Anche se ben trattata una fascite plantare di una certa severità, che si presenti sotto forma cronica, richiede dei tempi di guarigione dell’ordine di circa 4 mesi (i tempi si dilatano ulteriormente in caso di intervento chirurgico). Ciononostante, le ricadute sono frequenti ed il problema può ripresentarsi dopo pochi mesi. Molte di queste recidive sono comunque da imputarsi all’eccessiva smania dell’atleta nel ritornare in tempi troppo brevi all’attività sportiva, che spesso viene ripresa anche in presenza di una residua sintomatologia dolorosa. Questo costituisce un grave errore, che può comportare spiacevoli conseguenze. L’attività sportiva non dovrebbe assolutamente essere ripresa se non alla totale scomparsa del dolore !

 

2) TENDINOPATIE INSERZIONALI DELL’ACHILLEO e MALATTIA DI HAGLUND

Cosa indicano questi termini e perche parlarne?
Con il termine di tendinopatie inserzionali dell’achilleo si vogliono indicare quelle situazioni patologiche caratterizzate da una “ sofferenza “ della porzione più distale del tendine di Achille. In realtà, tali tendinopatie rappresentano un continuum di malattia che si manifesta inizialmente come un’infiammazione delle strutture e delle borsa peritendinee per poi progredire sino all’interessamento del tendine stesso.

A questo proposito alcuni autori hanno suddiviso la patologia del tendine di achille in tre stadi: peritendinite, peritendinite con tendinosi e tendinosi. Nello stadio di peritendinite, sono le strutture che circondano il tendine incluse guaine e borse a divenire infiammate, il tendine stesso non è interessato. Negli ultimi due stadi, esiste un grado di tendinosi (cioè di degenerazione del tendine)che implica un danneggiamento fino ad una eventuale rottura del tendine stesso.

 

Le tendinopatie inserzionali dell’Achilleo rappresentano,dopo la fascite plantare, la causa più frequente di tallodinia in età giovanile e nell’adulto. Riconoscono fattori predisponenti simili a quelli della fascite: attivita sportive che comportano la corsa, stazione eretta prolungata, obesità, dimorfismi podalici. Non si devono sottovalutare altre cause come l’assunzione di certi farmaci (corticosteroidi, statine, alcuni antibiotici ed in particolare la Ciprofloxacina) i quali possono causare una tendinopatia anche in assenza di stress meccanico eccessivo.

Un altro importante fattore predisponente è rappresentato dalla Malattia di Haglund. Questa consiste nella presenza di una anomala prominenza ossea in corrispondenza dell’angolo calcaneare postero-superiore. Tale prominenza causa un conflitto (impingement) con la porzione più distale del tendine di Achille che di conseguenza può infiammarsi (tendinopatia inserzionale).

 

Come distinguerle dalla fascite plantare?
In questi casi la sede del dolore è in regione posteriore ma in una posizione più alta, cioè nella zona in cui il tendine di Achille si inserisce sulla tuberosità posteriore del calcagno. Alcune manovre cliniche come la dorsiflessione del piede o sollevarsi sulla punta dei piedi, provocano una riacutizzazione del dolore.

 

E’sempre importante eseguire un esame radiografico per evidenziare l’eventuale presenza dello sperone osseo che caratterizza la malattia di Haglund. Inoltre è necessaria un ecografia per documentare lo stato di sofferenza del tendine,che può essere valutato ancora meglio con una Risonanza Magnetica. In particolare, nelle sequenze pesate in T1 in sezione sagittale il tendine si presenta ispessito con alterazione di segnale al suo interno ed eventuale interruzione parziale delle fibre.

 

Come si curano le tendinopatie inserzionali dell’Achilleo?
Per quanto riguarda il trattamento,il primo approccio è senza dubbio conservativo ed é molto simile a quello descritto per la fascite plantare: astensione attività sportiva,terapia medica con antinfiammatori non steroidei, impacchi locali di ghiaccio, terapia fisica (laserterapia, ultrasuono terapia,tecar terapia, onde d’urto). Utile l’impiego di calzature con rialzo e contrafforte posteriore ampio e imbottito.

Stretching ed esercizi eccentrici andrebbero eseguiti solo quando si è in grado di eseguire un lavoro isometrico in cui non si avverta dolore (Per lavoro eccentrico si intende quella condizione in cui il muscolo è in contrazione ma si allunga; l’esempio più lampante è l’allungamento del muscolo del polpaccio durante l’appoggio del piede al suolo)

A differenza della fascite plantare sono assolutamente controindicate le infiltrazioni locali di corticosteroidi che possono perfino facilitare la rottura del tendine. Occorre inoltre ricordarsi di sospendere le terapie con farmaci potenzialmente dannosi (corticosteroidi, lstatine e alcuni antibiotici).

Solo nei casi in cui la remissione clinica è temporanea ed i disturbi tendono a recidivare, è indicato il trattamento chirurgico. Questo consiste nell’asportazione, se presente, della prominenza calcaneare, o in alternativa in una sua dislocazione anteriore (osteotomia a cuneo dorsale del calcagno).

 

Inoltre deve essere attuata una accurata la toilette del tessuto degenerato del tendine d’Achille e l’escissione della borsa retro calcaneare se infiammata. Il tendine infine viene “ scarificato “ per favorire i processi di neoangiogenesi,cioe di rivascolarizzazione,in modo da accelerare i processi di guarigione.

Pappa piastrinica, fattori di crescita, cellule staminali… rappresentano delle nuove soluzioni utilizzate per velocizzare la guarigione. I dati in merito a queste forme di trattamento, molto utilizzate in veterinaria (riparazione delle lesioni tendinee nei cavalli da corsa), appaiono incoraggianti ma rimane il problema del costo, spesso con ampie variazioni in considerazione del livello di tecnologia proposto. Pertanto il chirurgo che intende far uso di queste terapie deve essere completamente e correttamente informato:

1) sulle caratteristiche del prodotto (componenti, percentuali, eccipienti,ecc),

2) sugli studi preclinici e clinici effettuati,

3) sui livelli di evidenza di tali studi.

Evero che le tendinopatie acute guariscono prima?
Sembra un paradosso, ma se un dolore al tendine è violento, tanto da non poter camminare o sollevarsi in punta di piedi c’è da meno da preoccuparsi: si tratta di una tendinite acuta. Con le cure del caso, sicuramente rispettate dal paziente vista la particolare sofferenza, passa in pochi giorni o settimane e in genere non limita in futuro lo sport ed il lavoro. Diverso è il caso della tendinite cronica: i segnali della sua presenza sono modesti e per questo il paziente spesso tende a sottovalutare il problema e quindi non rispetta alcuni fondamentali passaggi del trattamento conservativo. Ma cosi facendo il tendine viene sempre più danneggiato e nei casi più gravi finisce per rompersi.

 

3) LA MALATTIA DI SEVER

Le tallodinie del bambino o delladolescente riconoscono cause particolari?
In età pediatrica,pur essendo possibili una fascite plantare o una tendinopatia inserzionale dell’Achilleo, la causa più frequente di tallodinia è la malattia di Sever.

Tutte le ossa, dopo la nascita, subiscono un processo di sviluppo regolato dalle cartilagini di accrescimento e dai nuclei di ossificazione che “ funzionano “ fino a quando lo scheletro non raggiunge le sue dimensioni definitive (maturità scheletrica). La malattia di Sever, o apofisite calcaneare posteriore, consiste in una sofferenza del nucleo di accrescimento che regola lo sviluppo della regione posteriore (tuberosità) del calcagno. Si tratta pertanto di una affezione tipica ed esclusiva dell’età pediatrica, con picco d’incidenza tra gli 8 e i 13 anni.

Per quali motivi viene la malattia di Sever?
Le cause che determinano la sofferenza di questo nucleo di accrescimento non sono note. Si ipotizza un meccanismo di sovraccarico del sistema achilleo-plantare. Pertanto, come per la fascite plantare, i principali fattori predisponenti sono rappresentati dai dimorfismi podalici (piede cavo o piede piatto),dall’obesità e dall’attività sportiva.Riguardo a quest’ultima, vogliamo sottolineare come proprio in età adolescenziale spesso si assiste, durante gli allenamenti, a sovraccarichi di lavoro sia in termini di tempo che intensità. Questi vengono imposti per il miglioramento dei risultati ma nel contempo possono essere tali da determinare uno squilibrio tra richieste funzionali e resistenza delle strutture anatomiche in accrescimento.

Come si arriva alla diagnosi?
La diagnosi è esclusivamente clinica: comparsa in età adolescenziale di dolore in sede postero inferiore accentuato dalla palpazione. Il dolore, in genere inizia gradualmente, spesso dopo allenamenti pesanti o su terreni duri e dapprima limita soltanto l’attività sportiva.Spesso il fastidio viene trascurato anche perchè il piccolo paziente, consapevole che potrebbe essere costretto a fermarsi, non dice nulla o minimizza fin quando l’allenatore o i genitori notano una zoppia e, preoccupati, lo fanno visitare. L’esame radiografico evidenzia una frammentazione e sclerosi del nucleo di accrescimento il cui valore diagnostico è discutibile in quanto si può osservare anche in soggetti sani.La diagnosi differenziale và fatta con le altre condizioni di sovraccarico delle strutture del sistema achilleo plantare ed in particolare con le tendinopatie inserzionali dell’achilleo che si caratterizzano per una localizzazione posteriore del dolore ma in una posizione più alta.

 

La persistenza del dolore nonostante le terapie ed in particolar modo se questo si prolunga oltre l’età adolescenziale impongono ulteriori accertamenti (esami di laboratorio, RMN,) per individuare altre affezioni locali quali infezioni, neoplasie o sistemiche come reumatismi infiammatori cronici eventualmente responsabili della sintomatologia.

Come si tratta?
Come tutte le affezioni dei nuclei di accrescimento (osteocondrosi), la malattia di Sever viene considerata una patologia autolimitantesi, nel senso che la sofferenza del nucleo cosi come il dolore calcaneare tendono a regredire fino alla totale scomparsa non appena viene raggiunta la sua completa ossificazione, in genere intorno ai 13,14 anni. Pertanto, il trattamento consiste semplicemente nell’utilizzo di plantari con scarico calcaneare, astensione assoluta dall’attività sportiva, crioterapia. Il paziente dovrebbe evitare di camminare scalzo.Utile un rialzo al tacco di 3 cm al fine di ottenere un “allentamento” del sistema achilleo-plantare. Per evitare ricadute, soprattutto negli sportivi, è importante l’adattamento delle calzature, dei terreni di gioco e soprattutto delle tecniche di allenamento.

C’è solo un problema: come si fa a tenere a riposo bambini di 10 -11 anni? Provateci un po’!…

 

4) TALLODINIA DA NEUROPATIA

Se un dolore al calcagno si associa a formicolii o bruciori o zone con scarsa sensibilità cosa si deve sospettare?
Nel caso di tallodinie persistenti che si accompagnino a disturbi neurologici quali parestesie, ipoestesie, si deve sempre ipotizzare un origine neuropatica compressiva.

La Sindrome del Tunnel tarsale ne costituisce l’esempio più tipico. Essa è dovuta ad una compressione del nervo tibiale posteriore e/o dei suoi rami in sede retro malleolare. Piu precisamente il nervo tibiale posteriore, nel suo passaggio dalla loggia posteriore della gamba alla pianta del piede,contornando da dietro in avanti il malleolo tibiale si trova alloggiato insieme all’arterie e vene omonime, all’interno di un canale inestensibile il cui pavimento è costituito dal legamento deltoideo e il tetto è rappresentato da uno sdoppiamento del retinacolo che racchiude i tendini tibiale posteriore e flessori dell’alluce e delle dita.

 

Le cause di compressione sono rappresentate da tutte quelle lesioni in grado di produrre una riduzione dello spazio all’interno del canale ostofibroso tarsale: cisti tendinee, cisti artrogene, varici. Anche un evento distorsivo può essere causa di insorgenza della sindrome del tunnel tarsale in rapporto allo sviluppo di edemi o ematomi locali. Altre patologie come il diabete possono provocare lo stesso effetto. La prima manifestazione di questa patologia è una tallodinia che si aggrava con la stazione eretta e la deambulazione. La sede del dolore é simile a quella della fascite plantare ma si colloca in una posizione più mediale. In questa stessa zona possono manifestarsi sensazione di intorpidimento o di formicolio.

 

Nelle forme paralitiche vi è difficoltà all’apertura laterale delle dita e al loro avvicinamento. Importante è la positività ai test di evocazione (manovre cliniche) dei sintomi dolorosi e parestesici mediante stress passivo del piede in dorsiflessione ed eversione.La palpazione della doccia retro e sottomalleolare malleolare puo produrre una riacutizzazione del dolore con sensazioni di “scossa elettrica” irradiata alle dita (segno di Tinnel positivo).

 

Un ulteriore aiuto deriva dall’esame elettromiografico che comunque, considerate le peculiarità del distretto anatomico da esaminare, richiede una particolare esperienza da parte dell’operatore.

Il trattamento inizialmente é conservativo (plantari di scarico, calzatura con tacco, infiltrazioni di cortisone più anestetico, riposo). Se pero la sintomatologia persiste e la diagnosi è certa, bisogna ricorrere ad un intervento chirurgico di decompressione del nervo che deve essere il più esteso possibile.

 

Molto più rare sono le sindrome da compressione dei rami calcaneari provenienti dal nervo surale o dal nervo safeno. Tuttavia, dati gli stretti rapporti anatomici che questi nervi contraggono con il tendine di Achille e con la vena safena, non si può escludere che si sviluppino dei neuromi postraumatici o iatrogeni (in esito a interventi chirurgici) con comparsa di tallodinie prevalentemente mediali o laterali in genere associate a disturbi parestesici nelle stesse sedi.

 

5) MALATTIE REUMATICHE E METABOLICHE

Esistono malattie reumatiche e/o metaboliche che possono provocare tallodinia?
Quando il dolore calcaneare ha una localizzazione (sede) diffusa, colpisce soggetti giovani, si manifesta in forma cronica e tende a interessare, in modo contemporaneo o sequenziale entrambi i piedi) si deve ipotizzare una possibile origine reumatica o metabolica: gotta, S di Reiter, spondilite anchilosante, artrite reumatoide, condrocalcinosi, psoriasi, lupus,diabete etc.

In questi casi in genere coesistono segni sistemici (alterazioni cutanee, oculari, delle mucose o di altri apparati) variabili da malattia a malattia. L’anamnesi può rivelarsi utile in quanto il paziente potrebbe essere già a conoscenza di una patologia sistemica in atto. Gli esami radiologici evidenziano alterazioni strutturali spesso bilaterali del calcagno: demineralizzazione, lesioni erosive ed iperostosi più o meno pronunciate.

Ad ogni modo saranno gli esami di laboratorio (VES,PCR, acidi urici, glicemia, reuma test, fattore HLAB27.. etc) a darci ulteriori conferme, indirizzandoci verso una specifica eziologia. In tutti questi casi la terapia conservativa è simile a quella descritta per le altre forme di tallodinia. Saranno però necessari specifici interventi farmacologici connessi al trattamento della patologia reumatica o metabolica di base. In questi casi, è quindi auspicabile un approccio multidisciplinare ampliato in cui cioè accanto alla figura dell’ortopedico, del fisiatra e del fisioterapista sia previsto anche l’intervento del reumatologo o dell’internista per le sue specifiche competenze.

 

6) TENDINOPATIE DEI PERONIERI E DEL FLESSORE LUNGO DELLE DITA E DELLALLUCE

Oltre alle tendinopatie dell’Achilleo esistono altre tendinopatie in grado di produrre una tallodinia?
Un quadro clinico caratterizzato da dolore in sede calcaneare e perimalleolare esterna, associato ad una tumefazione retro e sottomalleolare, è significativo per una patologia infiammatoria dei tendini peronieri (tenosinovite dei peronieri). In questi casi all’anamnesi in genere si rileva una pregressa patologia traumatica: grave distorsione o distorsioni recidivanti della caviglia, fratture di calcagno o malleolari esterne, lussazione dei peronieri. Un disassetto strutturale del calcagno in varismo (cioè una sua deviazione verso l’interno) rappresenta un ulteriore fattore predisponente.

Esistono anche forme ad eziologia reumatica (spondilite anchilosante,psoriasi, etc). La conferma diagnostica si ottiene con l’esame ecografico o con l’MN che mostra un aumento del liquido sinoviale nelle guaine che rivestono questi tendini. Il trattamento è inizialmente conservativo: riposo, ghiaccio, farmaci antinfiammatori, terapie fisiche e bendaggio funzionale. Nel caso di insuccesso della terapia conservativa o nei casi in cui vi sia rottura tendinea o lussazione recidivante dei peronei è consigliato il trattamento chirurgico. A seconda della tipologia della lesione si potranno effettuare i seguenti atti operatori: tenosinoviectomia, debridement tendineo, sutura tendinea, trasposizione tendinea.

Allo stesso modo, se il dolore calcaneare si manifesta prevalentemente in sede perimalleolare interna e coesiste una tumefazione retro e sottomalleolare tibiale, il quadro clinico deve far pensare ad una patologia infiammatoria dei tendini del flessore lungo delle dita e/o dell alluce e/o del tibiale posteriore. Per queste affezioni valgono le stesse considerazioni eziopatogenetiche con la differenza che è il disassamento in valgo del calcagno (cioè una sua deviazione verso l’esterno) o una lassità mediale della caviglia a fungere da fattore predisponente. Gli esami strumentali sono gli stessi cosi come l’approccio terapeutico.

 

7) SINOSTOSI ASTRAGALO CALCANEARI

Cosa si intende per tallodinia da sinostosi?
Con il termine di sinostosi astragalo-calcaneare si intende una fusione (fibrosa o ossea) tra l’astragalo e il calcagno..La localizzazione è bilaterale è nel 50 % dei casi.Tale condizione patologica spesso è associata ad un piede piatto e si caratterizza per una rigidità articolare del retro piede ; abbastanza tipica è l’ossservazione della mancata comparsa dell’arco plantare se si invita il paziente a sollevarsi sulla punta dei piedi.

La sinostosi non sempre causa dolore, ma talvolta si manifesta con una fastidosa tallodinia. Ne consegue che,in un paziente con piede piatto contratturato, la comparsa di un dolore calcaneare deve far sospettare l’esistenza di una sinostosi astragalo calcaneare. Questa è difficilmente rilevabile con le proiezioni radiografiche tradizionali mentre è facilmente diagnosticabile con un esame TC.

Il trattamento è chirurgico e prevede la resezione della sinostosi. Una situazione clinica simile alla precedente è rappresentata dall’artrosi della sottoastragalica che può riconoscere diverse cause ma quasi sempre è conseguente ad una frattura del calcagno. E’un quadro doloroso molto invalidante, forse il piu grave di tutte le affezioni riguardanti il tallone. Può essere alleviato dall’uso di plantari ma la maggior parte delle volte viene risolto solo chirurgicamente con la fusione completa delle articolazioni degenerate (artrodesi della sottoastragalica).

 

8) SINDROME CUSCINETTO ADIPOSO

Esiste la Sindrome del cuscinetto adiposo?
Numerosi studi avvalorano l’ipotesi di un significativo coinvolgimento del cuscinetto adiposo calcaneare nella genesi della tallodinia in età adulta. Un atrofia (cioè una diminuzione del volume) di tale cuscinetto, riducendo la sua azione ammortizzante sulle sollecitazioni di carico del calcagno al suolo, indurrebbe una sindrome dolorosa a sede posteriore plantare. Il dolore viene riacutizzato con la digitopressione esercitata proprio nel punto mediano della superficie plantare del tallone.

Fattori predisponenti oltre all’età (è tipico nell’invecchiamento una atrofia del adipe sottocalcaneare) sono i microtraumatismi ripetuti e il sovraccarico ponderale. L’esame radiografico di solito è negativo ed il trattamento è essenzialmente locale: talloniere morbide, rialzo al tacco, antinfiammatori

 

 

9) LESIONI TUMORALI E SIMIL TUMORALI

Esistono tumori in grado di provocare dolore calcaneare?
Nei pazienti oncologici, non è infrequente la comparsa di un tallodinia che poterebbe dipendere da una localizzazione metastatica al calcagno. Pertanto, il rilievo anamnestico di un tumore della mammella, della prostata, di un melanoma o di una emopatia deve suggerire un approfondimento diagnostico strumentale (Rx,Tc, RMN, Scintigrafia) che potrebbe confermare l’origine metastatica del dolore calcaneare.

Esiste inoltre la possibilità che il dolore possa sia provocato da lesioni tumorali o simil tumorali primitive e locali. Si tratta di patologie rare la cui diagnosi richiede accertamenti strumentali multipli ed in ultima analisi una biopsia. Di seguito verranno esposte brevemente alcune di queste lesioni senza far riferimento agli aspetti anatomopatologici, istologici e terapeutici per i quali si rimanda a testi specifici.

Per quanto riguarda i tumori delle parti molli, premesso che le forme maligne sono molto rare, di scarso rilievo sono i lipomi, i fibromi e i gangli sinoviali che in genere comportano disturbi legati alla compressione meccanica. Meno rari sono i neurinomi che per lo più possono interessare il nervo surale o i rami calcaneari del nervo tibiale posteriore e si manifestano con una sintomatologia algoparestesica posteromediale o posterolaterale.Tallodinie possono dipendere da angiomi profondi: l’esame radiografico può essere negativo a differenza della RMN che nelle sue diverse pesate è in grado di precisare la natura del tessuto (liquido, lipidico…).

In merito ai i tumori delle ossa, uno dei piu comuni è sicuramente la cisti ossea solitaria. L’esame radiografico mostra un area osteolitica all’interno del calcagno, a limiti netti senza orletti sclerotici. La cisti ossea solitaria,a differenza della cisti aneurismatica(molto rara nel calcagno),non da luogo ad alcuna sintomatologia,ma può improvvisamente scatenare una tallodinia in caso di frattura. Un quadro clinico e radiografico molto simile è dato dal tumore a cellule giganti che,a differenza della cisti, ha potenzialità maligne.

La diagnosi differenziale spesso deriva solo dall’esame istologico del materiale prelevato durante l’exeresi chirurgica della lesione. Il riscontro radiografico di un area osteolitica circondata da un orletto sclerotico deve invece far pensare ad un osteoma osteoide che rappresenta una delle lesioni tumorali benigne piu frequenti del calcagno, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 10 e i 30 anni. In questo caso la sintomatologia è tipica con dolore prevalentemente notturno e comunque indipendente dal carico.

Tra le forme francamente maligne che possono colpire il calcagno ricordiamo il condrosarcoma l’osteosarcoma che prediligono l’età adulta; in questi casi il dolore più o meno intenso è accentuato dal carico ma è presente anche a riposo. Alla palpazione la cute può apparire calda (termotatto positivo). Il quadro radiografico è caratterizzato da aree di osteolisi (cioe di rarefazione ossea) con margini sfumati, eventuale interruzione della corticale associate ad aree più o meno ampie di addensamento.

 

Infine tutte le lesioni ulcerative della regione del tallone di origine non chiara devono far sospettare un origine neoplastica (cisti epidermoide, basalioma, melanoma) e pertanto richiedono esami bioptici.

 

10) TALLODINIE ALGODISTRFICHE

Se uno Specialista vi dice che il dolore calcaneare ha un origine algodistrofica,che significa?
Tallodinia algodistrofica o Edema midollare del calcagno, è un termine scientifico utilizzato per indicare certe situazioni caratterizzate da disturbi vasomotori locali che interessano l’osso del calcagno. Più precisamente l’osso diventa sede di un “edema“ che ne compromette la vascolarizzazione. Ne conseguono processi di decalcificazione distrettuale associati a dolore calcaneare di tipo urente, diffuso e persistente. L’affezione interessa quasi esclusivamente il sesso maschile in età adulta. Accomuna tali pazienti un’attività lavorativa piuttosto stressante, sia dal punto di vista fisico, con molte ore di lavoro in piedi e spesso con l’uso di scarpe antinfortunistiche, sia dal punto di vista psichico con evidenti note di tipo ansioso depressivo.

Nella maggior parte dei casi si rileva una storia (Anamnesi) almeno annuale di dolore diffuso al tallone che si fa via via più ingravescente e arriva alla zoppia, tanto da limitare tutte le attività. Il paziente giunge all’osservazione dello specialista dopo aver eseguito molti degli esami diagnostici possibili, (RMN, TAC, radiografie, esame elettromiografico), solitamente negativi o con alterazioni non significative, e dopo essersi sottoposto a vari trattamenti fisioterapici (ultrasuoni, ipertermia, onde d’urto, laserterapia). Ha inoltre provato diversi plantari con scarsi risultati.

In queste situazioni la diagnosi di Tallodinia algodistrofica viene ipotizzata tenendo in considerazione la storia clinica del paziente, come precedentemente esposta, e poi confermata con particolari esami strumentali come la scintigrafia ossea e l’angiografia (che dimostrano rispettivamente una ipercaptazione e un aumento della trama vascolare)

Il trattamento prevede l’impiego di:

  • farmaci per l’osteoporosi, integratori osteo-cartilaginei e antinevritici.
  • blocchi antalgici distrettuali del calcagno mediante anestetici.
  • terapia fisica con campi magnetici pulsati.

Infine nei casi assolutamente ribelli si ricorre alla terapia chirurgica che consiste nella perforazione percutanea del calcagno e nell’applicazione di radiofrequenze per risolvere l’ingorgo vascolare e stimolare il rinnovo del tessuto osseo.

 

Conclusioni

In conclusione il dolore calcaneare rappresenta un vero e proprio labirinto diagnostico da cui dipende la scelta terapeutica. I risultati del trattamento,infatti,dipendono da una precisa diagnosi eziologica. Gli insuccessi e le frequenti ricadute riferite dai pazienti sono attribuibili, nella maggior parte casi, a diagnosi superficiali e trattamenti generici. E’indispensabile che l’approccio a tali patologie avvenga in modo completo, integrando l’esame clinico con esami strumentali e di laboratorio, la scelta dei quali prevede una conoscenza approfondita delle patologie del piede e delle affezioni sistemiche in grado di produrre un dolore calcaneare.Ancora oggi la tallodinia viene molte volte autotrattata dal paziente, il quale tutt’al più si limita a consultare il fisioterapista,il podologo o il farmacista. Pur rispettando il ruolo di queste categorie, riteniamo che il consulto dell’ortopedico ed in particolare dello specialista del piede rappresenti la soluzione migliore se si vogliono evitare recidive o ancor peggio una cronicizzazione (fastidiosa e più difficile da trattare) di questa sindrome dolorosa.

NOTA

Posizione dell’American Orthopaedic Foot and Ankle Society (AOFAS) a proposito del trattamento del dolore calcaneare:

  1. Il trattamento conservativo è raccomandato per un minimo di 6 mesi e preferibilmente per 12 mesi.
  2. Oltre il 90% dei pazienti risponde al trattamento conservativo nell’arco di 6-10 mesi.
  3. Quando si prende in considerazione la chirurgia, prima dell’intervento è necessaria una valutazione medica.
  4. I pazienti devono essere avvertiti delle complicazioni e dei rischi se viene indicata una procedura in endoscopia piuttosto che a cielo aperto.
  5. Se con il dolore della fascia o dell’osso coesiste una compressione nervosa, non si deve tentare una procedura in endoscopia o chiusa.
  6. L’AOFAS sconsiglia le procedure chirurgiche se prima non è stato provato il trattamento conservativo.
  7. L’AOFAS sostiene un intervento chirurgico responsabile e accuratamente pianificato solo quando il trattamento conservativo abbia fallito el’indagine sia completa.
  8. L’AOFAS approva che si considerino limiti economici nel trattamento del dolore al tallone quando questo non peggiori l’esito.
  9. L’AOFAS raccomanda l’imbottitura al tallone, le medicazioni e lo stretching prima di prescrivere ortesi su misura o una fisioterapia prolungata.

Queste affermazioni si propongono come linee guida per gli ortopedici e non intendono imporre un piano di trattamento.