Con meno sangue al cervello arriva la balbuzie

Il disturbo lo ha ben rappresentato Colin Firth, interpretando Giorgio VI nella pellicola “Il discorso del re”: ripetizione e prolungamento di suoni e sillabe, interruzione di parole, interiezioni; insomma un discorso che proprio non riesce ad essere fluido, anche se chi lo pronuncia sa in realtà bene ciò che vorrebbe dire.

È la balbuzie, una condizione che nel mondo riguarda, in qualche momento della vita, circa il cinque per cento della popolazione e che colpisce prevalentemente i bambini. Con l’avanzare dell’età, nella maggioranza dei casi, si risolve gradualmente, ma un 25 per cento circa dei ragazzi balbuzienti parlerà incespicando anche nell’età adulta.

Le cause non sono certe e finora si è per lo più pensato a origini genetiche o a dinamiche emotive e familiari. Si è spesso cercato di capire la balbuzie analizzando i processi che portano all’emissione meccanica della parola, con particolare interesse all’apparato fonatorio, ma ora c’è chi ha spostato l’attenzione su un altro piano.

Al Children’s Hospital di Los Angeles, un gruppo di ricercatori ha utilizzato, per studiare il disturbo, la risonanza magnetica di perfusione, una tecnica che analizza lo stato di irrorazione sanguigna del cervello, ritenendo che il flusso ematico, così misurato, potesse dare indicazioni sull’attività cerebrale.

Lo studio, apparso poi sulla rivista Human Brain Mapping, ha coinvolto 26 balbuzienti confrontati con oltre 30 individui dotati di una parlata fluente. Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che chi farfugliava mostrava, rispetto a chi non aveva il disturbo, un ridotto apporto di sangue nell’area cerebrale di Broca, una zona corticale del lobo frontale importante per l’articolazione del linguaggio.

«E più grave era la balbuzie, minore era il flusso sanguigno in quest’area del cervello», aggiunge Jay Desai neurologo e autore dello studio. D’altra parte altre ricerche in passato hanno dimostrato l’importanza dell’area di Broca nella scioltezza del parlare. Un’indagine della Johns Hopkins Medicine l’ha definita lo “sceneggiatore” del cervello, capace di impostare e dirigere il flusso del discorso.

Non sorprende, quindi, che variazioni in questa zona dell’encefalo possano essere correlate alla balbuzie, condizione in cui la fluidità del linguaggio subisce interruzioni. Lo studio di Desai e colleghi mostra anche, però, che in forme ancor più serie di questo disturbo vi era un ridotto flusso ematico nelle aree con circuiti neurali localizzate posteriormente, deputate al processamento delle parole che sentiamo.

«Quanto abbiamo riscontrato dovrà essere confermato, ma è possibile che alla base della balbuzie ci sia un’anomalia dei circuiti cerebrali legati alla formulazione e all’elaborazione del linguaggio e che anche aree del cervello correlate con l’emotività possano avere un ruolo nel fenomeno», conclude il neurologo.

Il nuovo studio offre comunque, a detta degli esperti, una nuova visione della balbuzie che potrebbe fornire preziose informazioni per sviluppare trattamenti per il disturbo, che, al momento, si basano per lo più su terapie logopediche.

[Fonte http://www.healthdesk.it/medicina/meno-sangue-cervello-arriva-balbuzie]