Troppo sport può essere letale, si rischia ictus e infarto e calo del desiderio

Esagerare con lo sport aumenta il rischio che si accumulino calcificazioni nelle arterie coronariche, tra i principali fattori legati a gravi eventi cardiovascolari come infarto e ictus. I più esposti sono i maschi bianchi.

Troppo sport fa male a  stomaco e intestino, invece, chi ha un’ attività fisica moderata aiuta il colon irritabile o infiammato. Tutti sogniamo di avere una pancia piatta, esagerare con lo sport si può mettere a rischio la funzione del nostro intestino. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista alimentare farmacologica di Melbourne.

Lo studio ha passato in rassegna le diverse ricerche scientifiche che hanno indagato sugli effetti di un elevato esercizio fisico sulla salute gastrointestinale. In particolare si sono concentrati su parametri quali la motilità, l’assorbimento e la permeabilità sostanze tossiche, sia nelle persone sane sia quelle già colpite con problemi all’apparato digerente. Dai risultati emerso che l’esercizio fisico più è intenso e prolungato e più crescono i problemi gastrointestinali, indipendentemente da fatto che la persona sia più o meno informa.

La sedentarietà fa male alla salute e su questo non ci sono dubbi, ma secondo una recente ricerca pare che fare troppo Sport faccia anche dei danni soprattutto ora. E’ dunque vero che l’ attività sportiva eccessiva abbia delle controindicazioni sull’apparato cardiovascolare e ciò è stato evidenziato da una recente ricerca condotta negli Stati Uniti, la quale è stata denominata Cardiaovvero Coronary Artery Risk Development in Young Adult Study. Questo studio ha portato ad una conclusione molto sorprendente ovvero il fatto che fare troppo Sport possa avere delle conseguenze negative Come già detto sul sistema cardiovascolare, portando ad alcuni eventi come infarti e ictus. In tal senso lo studio pubblicato sul Mayo Clinic proceedings pare abbia messo in luce Come praticare più di 7 ore e mezza di sport alla settimana faccia aumentare di molto il rischio di deposito di calcio nelle arterie coronarie.

Il rischio di deposito di calcio nelle arterie coronarie pare possa giungere al 86% e causerebbe aumenterebbe il rischio di infarto ed ictus. Dunque, lo sport fa bene alla salute ma attenzione a non esagerare ovvero non superare le 7 ore a settimana che vorrebbe dire di non praticare più di un’ora al giorno di attività intensa. I ricercatori per giungere a questa conclusione hanno effettuato uno studio prendendo in esame quasi 3200 persone in 25 anni, scegliendo nel 1985 un gruppo di persone di età compresa tra i 18 Ed i 30 anni suddividendoli in tre gruppi. Nello specifico sarebbero stati divisi coloro che praticavano meno di 150 minuti di sport a settimana, coloro che praticavano a 150 e cioè quanto indicato dalle linee guida internazionali dell’Oms e coloro che ne praticavano 450 minuti a settimana, ovvero circa 7 ore e mezza 3 volte il tempo consigliato.

I risultati sono stati sorprendenti visto che coloro che facevano esercizio fisico dopo 25 anni presentavano più calcificazioni alle coronarie rispetto a coloro che invece ne facevano meno. Ed ancora nel gruppo dell’intensa attività fisica le placche di calcio alle coronarie era del 86% nelle persone di sesso maschile e etnia bianca e del 27% per tutte le altre categorie e dunque entrambi i sessi e tutte le etnie.

“Questa ampia ricerca è nata per valutare se e in che modo la genetica e lo stile di vita, dalla dieta all’attività fisica, abbiano un’influenza sull’evoluzione della malattia coronarica e sul rischio di infarto”, è questo quanto dichiarato da Stefano Bianchi cardiologo al Fatebenefratelli San Giovanni calibita Isola Tiberina di Roma.  Dunque, la quantità di esercizio consigliata dagli scienziati risulta essere quella media che corrisponde a 20 minuti di attività fisica giornaliera, ma purtroppo i più attivi tendono a superare più di 3 volte la dose raccomandata dagli esperti andando incontro secondo quanto emerso da questo recente studio, a dei rischi davvero importanti quali ictus e infarti.

La televisione è sempre più tentatrice, quest’estate poi l’appuntamento è doppio: a giugno ci sono stati gli Europei di calcio, adesso le Olimpiadi. Centinaia di ore di trasmissioni di qualsiasi sport a tutte le ore e la tentazione di trasformarsi in sportivo da poltrona è forte. Tanti quelli che cedono e sbagliano: il campionato italiano di poltroneria ha sempre più squadre iscritte e la lotta per lo scudetto è incertissima. Meno frequentato il campionato opposto, quello degli ossessionati da far sport sempre e comunque, spesso pure troppo.
Come per altre attività, è sempre una questione di misura: troppo poco fa male, troppo rischia di essere devastante. Lo sport può rivelarsi dannoso infatti se diventa sovraesercizio, iperattività, se arriva a influenzare in modo crescente l’intera vita. Una condizione sostenuta da insoddisfazione per il proprio corpo che spesso si lega a disordini alimentari.
La psicoterapeuta Flaminia Cordeschi, presidente della Federazione italiana disturbi alimentari e referente della sede romana, ci chiarisce cosa si intende con esercizio fisico eccessivo e quali sono i meccanismi psicologici che ne stanno alla base.
Dottoressa, gli effetti benefici di una regolare attività fisica sono risaputi. Quando invece l’esercizio fisico può comportare rischi piuttosto che vantaggi per la salute?
«L’attività fisica può costituire un fattore di rischio quando spinge ad adottare schemi rigidi di allenamento e di dieta allo scopo di migliorare la propria performance sportiva. Per esempio si inseguono forme e prestazioni fisiche perfette attraverso sovrallenamento, si adottano diete iperproteiche o, peggio ancora, si utilizzano tutta una serie di manovre finalizzate al controllo di un peso particolare – uso di lassativi, diuretici, integratori, anabolizzanti ma anche vomito indotto -. A tal proposito si parla di vigoressia e anoressia atletica, nuove forme di disturbi alimentari emergenti legate a eccesso di sport».
Cosa spinge ad un abuso di sport — e del proprio corpo — fino a questo punto?
«Alla base c’è un’alterata percezione dell’immagine corporea, l’idea persistente di non essere adeguati “dentro” e di conseguenza “lùori”. Allora lo sport diventa un tentativo disperato di crearsi un’immagine esterna “perfetta” da contrapporre alla percezione del proprio stato interno. Lo sport diventa totalizzante: la persona esiste solo sulla base della performance».
Vigoressia e anoressia atletica: quali sono le caratteristiche di questi disturbi?
«La vigoressia è tipica dei maschi, giovani, in particolare sono i body builder muscolosi che non si percepiscono mai abbastanza. Sembra esserci l’esigenza di ancorarsi a un’immagine corporea idealizzata come copertura e sostegno ai fini di sostenere l’identità precaria della persona. L’anoressia atletica invece, tipica delle ragazze, condivide con l’anoressia classica il perseguimento della magrezza ma in questo caso il corpo magro deve essere soprattutto funzionante dal punto di vista dell’efficienza sportiva. L’attenersi a un regime alimentare ristretto è volto a migliorare i risultati sportivi, spesso per compiacere allenatore o genitore con passione per lo sport’.
Esistono sport più a rischio per sviluppare questi disturbi?
«Si, per esempio danza classica, ippica, ginnastica ritmica e ciclismo si prestano per l’anoressia atletica in quanto il peso basso è particolarmente apprezzato. Invece per la vigoressia sono favoriti sport sostenuti da un peso importante».
Quali sono i segnali di una “dipendenza da sport”?
«Allenamento di molte ore; camminare, muoversi in modo compulsivo; attenzione minuziosa al cibo, alla quantità e qualità di cosa mangiamo; chiusura sul piano sociale, preferenza di sport isolati, alterazione del tono dell’umore. E ci sono segnali medici come per esempio la scomparsa delle mestruazioni per le ragazze, non dovuta a stress da allenamento o da gara ma a sfruttamento eccessivo del corpo».
Certi atteggiamenti estremi appartengono solo agli sportivi professionisti oppure si possono ritrovare anche tra gli sportivi da palestra e fai-da-te?
«Certe forme estremizzate e rischiose di tali disturbi si possono trovare in chi pratica sport agonistico ma possono insidiarsi e trovare terreno fertile anche negli sportivi da palestra. La palestra, da luogo di benessere, può diventare cosi l’ambiente che agevola situazioni di rischio, proponendo stili di vita e modelli estetici che attecchiscono in modo pervasivo su personalità predisposte».
Cosa fare quando si coglie questo tipo di disagio?
«È il caso di consultare specialisti esperti. Le associazioni appartenenti alla Federazione italiana disturbi alimentari, presenti in otto città italiane, promuovono un modello di intervento multidisciplinare integrato, il più indicato secondo il ministero della Sanità. Secondo le “linee guida” nazionali e internazionali, infatti, l’approccio multidisciplinare – che coinvolge figure professionali diverse: psicoterapeuti, medici nutrizionisti eventualmente psichiatri — risulta più efficace rispetto a interventi frammentati di singoli professionisti (www.fidadisturbialimentari.com)».

Il più grande medico di sempre, Ippocrate (vissuto tra il 460 e il 377 avanti Cristo) fissò con una semplice frase il vero segreto dello star bene: «Se potessimo dare a ogni individuo la giusta quantità di nutrimento e di esercizio fisico, né troppo né poco, avremmo trovato la giusta strada per la salute». Ebbene, quel «né troppo né poco» non ha alcun rapporto con quello che mangiano e fanno i grandi campioni al massimo della forma impegnati in una competizione mondiale.

Banale, certo. Ma non si direbbe da quello che si vede intorno. Negli anni Ottanta, quando esplose la moda del fare jogging, si ebbe nei Paesi occidentali un’esplosione delle morti di infarto e di ictus soprattutto di persone tra i 60 e i 70 anni. Com’è possibile che ci si ammazzi in modo così dissennato, si dirà. Ma anche questo ha una spiegazione: per chi è sovrappeso fare jogging è in genere impensabile perché faticosissimo e doloroso per la articolazioni. Ma per chi sta meglio sembra un esercizio quasi normale che produce endorfine e quindi provoca dipendenza , esattamente come le droghe o gli anabolizzanti. Di qui i fantasmi che a tutte le ore popolano la nostre città, madidi di sudore, affannati ma profondamente contenti. Eppure — dicono i medici — non è un esercizio adatto per chi ha più di 60 anni, salvo che con molta moderazione.

L’esercizio fa bene
Da questa premessa non deve discendere che lo sport non faccia bene. Il contrario: l’esercizio fa sempre bene se studiato con intelligenza, commisurato all’età, alle proprie condizioni fisiche. Esistono, per esempio regole per allenarsi con metodo. L’organizzazione mondiale della sanità, in un recente studio, ha confermato che studi epidemiologici dimostrano che un buon livello di attività fisica è correlato a una maggiore aspettativa di vita e, soprattutto, di vita attiva.

Non si tratta sempre di vero sport. Ci sono attività “moderate” ben precisate che equivalgono al lavoro di chi cammina veloce. Quali? Nuotare, andare in bicicletta, giocare a golf, fare lavori domestici, ballare o fare riparazioni domestiche. Sono quelle che alcune volte alla settimana chiunque, anche un anziano, dovrebbe affrontare con serenità. Ma ci sono attività molto pesanti che corrispondono, con esattezza, alle attività già nominate: invece di camminare andare veloce in salita; nuotare veloce, andare in bicicletta oltre i 15 chilometri l’ora, spostare mobili, impegnarsi in balli impegnativi come il valzer e il tango, ramazzare le foglie per 30 minuti di seguito.

Vero anche l’attività fisica faccia bene all’umore e, specialmente, riduca l’ansia. Lo sport, anche se blando, migliora la sensazione di fiducia in se stessi. Lo sport implica degli obiettivi che possono essere raggiunti e che danno una sensazione di sicurezza. È assurdo, però, crearsi obiettivi lontani, difficili perché si otterrebbe l’effetto contrario: non solo non si ottiene il risultato sportivo, ma ci si deprime.

Vantaggi dell’allenamento
È decisivo che la persona, specie se oltre i 40, utilizzi bene l’esercizio. Il centro di eccellenza federale per la ricerca in medicina dello sport di Torino propone, come obiettivi, il miglioramento della mobilità articolare, dell’efficienza muscolare e delle capacità aerobiche. Svolgere un’attività fisica di questo tipo porta nei soggetti tra i 60 e i 75 anni, di entrambi i sessi, un miglioramento del 2530 per cento. Lo stesso centro ritiene che la forza muscolare può aumentare con l’allenamento dal 6 al 50 per cento, secondo la tecnica e la frequenza dell’allenamento.

Questo non ha niente a che fare con le ossessioni, almeno di tre tipi: la vigoressia per chi è ossessionato dai muscoli; la sindrome di Highlander, per chi vede lo sport come strumento per restare sempre giovani; l’amortalità per chi decide semplicemente di non tener conto della propria età e, ricorrendo a complessi stratagemmi psicologici, “cancella” anziani e malattie dal proprio orizzonte come se non esistessero, vive, mangia, si veste e si comporta come se avesse 20 o 30 anni, avendone 60-70. Del resto, la nostra epoca sta sconvolgendo alcuni fondamenti psicologici e morali che in un passato, anche non troppo distante, si davano per scontati.

Il “ricordati che devi morire” della tradizione prima romana (si diceva ai generali in trionfo perché non si montassero la testa), poi cristiana, è stato completamente rovesciato: «Non ricordarti che devi morire». La giornalista americana Catherine Mayer, autrice del libro “Amortalità” (tradotto in Italia dall’editore Iacobelli), cita come esempio di amortalità quello del regista Woody Allen che ha dichiarato alla Mayer: «Se ti arrovelli su una battuta, su un costume, una parrucca, e sulle scenografie, non hai tempo di pensare alla morte e a quanto sia breve la vita». Insomma l’amortale non nega che esista la morte (e come potrebbe?) ma ha deciso che, se non se ne parla, non esiste o è come se non esistesse. Nel dubbio, però, meglio fare ginnastica.

Super allenati, in grado di correre per chilometri ogni giorno e magari di competere in un Ironman, le gare di triathlon estremo. Sotto le lenzuola, però, un mezzo disastro: negli uomini che fanno tanto, troppo esercizio fisico la libido è un po’ appannata e la probabilità di avere un desiderio sessuale “spento” è fino a sette volte maggiore rispetto a chi fa sport ma senza esagerare. Lo dimostra una ricerca pubblicata su Medicine and Science in Sports and Exercise, secondo cui un allenamento strenuo e costante comprometterebbe un buon sesso.

Studio si mille uomini

I ricercatori hanno intervistato un migliaio di uomini, tutti sportivi e praticanti varie attività a livello medio, moderato o intenso; attraverso questionari particolareggiati hanno indagato il desiderio sessuale, chiedendo per esempio quante volte pensassero al sesso o quanti rapporti avessero durante la settimana. I risultati mostrano che al crescere dell’intensità e della durata dell’allenamento cala in parallelo la libido, pur se si tiene conto dell’età (all’aumentare degli anni, infatti, una lieve riduzione del desiderio è da considerarsi normale); la probabilità di avere un desiderio sessuale “debole” è fino a sette volte maggiore rispetto a chi fa esercizio fisico con regolarità ma senza strafare. Anthony Hackney, docente di fisiologia dell’esercizio all’università del North Carolina e autore dell’indagine, sottolinea che «Non è detto che il rapporto di causa effetto sia immediato, ma di certo questi dati indicano l’esistenza di un legame fra troppo esercizio e poco sesso. Fatica e calo del testosterone indotto dal movimento possono avere un ruolo; resta da capire la soglia oltre cui l’allenamento diventa eccessivo, che potrebbe essere diversa fra i vari individui e dovrà essere stabilita attraverso studi più approfonditi».

Testosterone, stress ed età contano

Il dato non sorprende Gianfranco Beltrami, docente del corso di laurea in Scienze motorie dell’Università di Parma e membro del consiglio direttivo della Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI): «Vediamo spesso un calo del desiderio sessuale negli atleti che si allenano strenuamente, soprattutto per sport aerobici di lunga durata come maratona, triathlon, fondo: in queste situazioni troviamo sempre un calo dei livelli di testosterone, una componente ormonale che ha senz’altro un ruolo nel ridurre la libido e che può essere parzialmente contrastata se si allena bene la forza muscolare. In chi è dipendente dall’esercizio fisico si aggiunge anche un fattore psicologico: si tratta di soggetti che pensano solo allo sport e trascurano tutto il resto, la loro mente inevitabilmente si “distrae” dall’idea del sesso. Pure l’età conta – prosegue Beltrami –. Un ventenne nel pieno del vigore fisico e della carica ormonale risente meno dell’eccesso di sport rispetto a un cinquantenne che è già alle soglie dell’andropausa e ha livelli un po’ inferiori di testosterone, magari ha qualche preoccupazione sul lavoro ed è stressato. Per capire se si sta esagerando, occhio ai sintomi dell’overtraining: insonnia, stanchezza, difficoltà a recuperare dallo sforzo, scarsa concentrazione, dimagrimento e dolori muscolari sono segni che, insieme al calo del desiderio, indicano la necessità di ridurre i carichi di lavoro e, in qualche caso, indagare i livelli di ormoni come cortisolo e testosterone». (Controcopertina)